PERUGIA – A Perugia, per le novembrine celebrazioni dei Morti, la tradizione si onora con la fiera e del luna park, nell’area di Pian di Massiano, anticipatrici dell’inverno incombente. Sempre, ma non in epoca Covid; e se i mercanti, esseri solitari, semplicemente non sono arrivati, visti i divieti in vigore, i giostrai sono animali di branco, vivono sulle case mobili, si muovono assieme lungo un itinerario consolidato.
Ai primi di ottobre i giostrai sono dunque giunti a Perugia e si sono sistemati nel solito piazzale; non per allestire il luna park, ben consapevoli del divieto, ma semplicemente perché in quell’area arrivano sempre, in quella stagione dell’anno, e non hanno dove altro andare. E lì sono tuttora, mesti e silenziosi, in una colonia che si è infoltita anche nel mese di novembre. Il luna park (che i perugini chiamano baracconi) non è montato, loro non sanno che fare o dove andare e stazionano lì, silenziosa comunità girovaga costretta alla stanzialità, ai margini del “Percorso verde”, il parco perugino dove i runner si allenano, i ciclisti sfrecciano sul velodromo e i canari portano a spasso i loro animali.
La casa delle streghe non è stata assemblata, le montagne russe, i dischi volanti, il tiro a segno sono ammucchiati, smontati, sui camion affiancati da una parte. Da un’altra parte le roulotte dei giostrai e dei loro operai.
Girando per il loro campo non si vede anima viva in giro. Tutto è silenzioso. Passa un anziano in bicicletta, lo fermiamo per fargli qualche domanda. È giostraio figlio di giostrai. È quasi un anno che non lavorano, seguendo comunque il loro itinerario, sperando di fermarsi e montare le giostre, prima o poi; l’hanno sperato questa estate, ma poi, arrivati a Perugia si sono arenati, in attesa di nulla.
Dove sono tutti? Chiediamo. Qualche donna è a fare la spesa, qualche uomo è in cerca di un lavoro qualunque perché bisogna pur portare qualche soldo a casa; gli altri sono nelle roulotte. E i bambini? Ce n’è una decina, seguono la scuola via Internet, per quel che possono.
Il governo ha erogato i famosi “ristori”, ma sostanzialmente chi aveva qualche risparmio lo sta consumando, chi non ha nulla da parte è disperato. Cercano di aiutarsi, condividono le spese della luce (1.500 euro al mese fra tutti), ma l’inverno è alle porte e, specialmente, non hanno alcuna alternativa davanti. Sono girovaghi e vivono così, viaggiando, tutti assieme. E gira voce che il Comune voglia far pagare l’uso del suolo pubblico.
Stride l’idea di questo mondo di rumori, luci, profumi, velocità, brividi, ora fermo, freddo, silenzioso. Si intravede un volto dalla finestra di una roulotte, ma si ritrae subito; una donna esce a stendere i panni, qualche bicicletta è riversa accanto alle case su ruote.
C’è una vita “normale” nel campo. C’è la tivù satellitare, ci sono giochi di bambini qui e là. Ma è una bolla, un mondo nel “nostro” mondo, un’enclave autonoma dove le parentele e i destini sono intrecciati. Un mondo ai margini, non visto, non guardato, non ben compreso, faccia marginale, secondaria, della pandemia. Siamo preoccupatissimi per i ristoranti e i bar, reclamiamo lo smart working per gli impiegati, e per quanto riguarda il mondo dello spettacolo ci soffermiamo, al massimo, sui teatri. Chi pensa ai giostrai, ai circensi, agli artisti da strada?
Claudio Bezzi