Sono trascorse circa 72 ore dal concerto di Peter Gabriel nella splendida cornice dell’Arena di Verona e non mi sono ancora ripreso.
Ho voluto sedimentare queste poche righe per raccontare quanto è successo nella prima delle due date durante il “i/o – The Tour” del cantante inglese in terra italica.
Si è trattato della quarta volta in cui ho potuto assistere ad un suo concerto – la prima volta a Roma nel febbraio 1974 con i Genesis, quindi in veste da solista a luglio 2007 ad Arezzo e a novembre 2014 a Bologna.
E come tutte le altre volte è stato emozionante; avevo alcune remore perché l’idea, dopo il debutto di 48 ore prima in Polonia, di cui avevo visto alcuni riflessi filmati, che indicavano che la via seguita era quella della presentazione del nuovo album, eseguendo brani ancora o poco conosciuti – come quelli fin qui rilasciati durante ogni plenilunio – o addirittura del tutto inediti, potesse togliere interesse allo spettacolo, e non sono partito con troppe aspettative.
All’esatto opposto è stata l’occasione per apprezzare il materiale nuovo che farà parte del nuovo album del cantante, previsto per fine anno probabilmente (ma con Gabriel le sicurezze sono poche, sono oltre vent’anni che non pubblica dischi di inediti), in un fantastico scenario che non è stato scalfito neppure dalla pioggerellina che ci ha accompagnato per buona parte del pomeriggio e fortunatamente svanita intorno alle 20:30.
Unico piccolo appunto gli schermi, forse troppo piccoli, con delle traduzioni simultanee che definire fantasiose può rendere l’idea ed un suono a volte non perfetto che ha penalizzato alcuni strumenti (vedasi tastiere e soprattutto il basso del granitico Tony Levin, davvero quasi impercettibile), ma giusto per trovare un punto debole all’interno di tre ore – intervallo compreso – per il resto appassionanti.
Si può definire, riprendendo il commento dell’amico Francesco Silvio Amenduni – autore della maggior parte delle foto a corredo di quest’articolo – che si è trattato di un concerto coraggioso; infatti, con il passato pieno di successi è encomiabile il fatto che l’artista abbia scelto di inserire metà brani (11 su 23) tra poco editi e del tutto nuovi.
Ma è sembrato che i presenti quasi le conoscessero, tale è stato l’entusiasmo nell’accoglierle; e così alle 20:03 il concerto si è aperto con “Whashing of the Water” e “Growing up” che il cantante e la band hanno eseguito seduti in cerchio.
Quindi spazio a tre brani dal nuovo album – “Panopticom” – diffuso lo scorso gennaio, accolta da un’ovazione, a cui sono seguite le bellissime “Four kinds of horses” ed “i/o”.
Ritorno al passato con “Digging in the dirt” dall’album “Us”; poi altri tre brani nuovi – “Playing for time”, “Olive tree” e “This is home” – e chiusura della prima parte con “Sledgehammer” con tanto di coreografia del trio Gabriel, Levin, Rhodes.
Secondo “tampo” come ha annunciato il musicista che dopo tanti anni ancora non pare masticare troppo l’italiano, aperto da “Darkness”, seguita da “Love can heal” dove nel finale uno spettatore ha interpretato il pensiero di tutti presenti urlando “Lunga vita a Peter”; ancora la nuova e movimentata “Road to joy”, una sorta di “Sledgehammer” del terzo millennio e la bellissima “Don’t give up”, magistralmente eseguita in coppia con Ayanna Witter-Johnson.
Un’altra manciata di brani, tra cui “Big time”, la nuova “The court” e quello che è stato il primo singolo della carriera solista di Gabriel “Solsbury Hill” e la serata è giunta al suo epilogo.
Non sono naturalmente mancati due bis: “In your eyes” con tanto di coreografia, e soprattutto “Biko”, tributo all’attivista sudafricano Stephen Bantu Biko.
Infine i musicisti che hanno accompagnato Gabriel: l’immenso trio Manu Katchè (batteria), David Rhodes (chitarra, voce) e Tony Levin (basso); Don McLean (tastiere, voce), Richard Evans (chitarra, flauto, voce), Ayanna Witter-Johnson (violoncello, tastiere, voce), Marina Moore (violino, viola, voce), Josh Shpak (tromba, corno, tastiere, voce), tutti bravissimi con menzione speciale per Ayanna Witter-Johnson e Josh Shpak.
Commiatandosi l’artista ha detto “Grazi” … ma sento che dobbiamo dirlo noi a te … caro Peter.
Ringrazio per tutte le foto della galleria e per quella di copertina Francesco Silvio Amenduni
La scaletta:
Set 1: Washing of the Water (acoustic, seated down version); Growing Up (stripped-down version, seated down version); Panopticom; Four Kinds of Horses; i/o; Digging in the Dirt; Playing for Time; Olive Tree; This Is Home; Sledgehammer
Set 2: Darkness; Love Can Heal; Road to Joy; Don’t Give Up; The Court; Red Rain; And Still; What Lies Ahead; Big Time; Live and Let Live; Solsbury Hill
Encore: In Your Eyes
Encore 2: Biko