PERUGIA – La scomparsa di Francesco Mandarini, presidente della Regione Umbria dal 1987 al 1991, invita a una riflessione sulla stretta relazione tra Umbria Jazz e l’Ente Regione, un rapporto che sin dagli esordi nel lontano 1973 si basò sulla convinzione, oggi si direbbe sulla visione che originò la nascita del festival. Fu da quella idea, dalla “scommessa” iniziale che l’Umbria avesse bisogno di una propria cifra identitaria in quanto a politica turistico-culturale che Carlo Pagnotta e Alberto Provantini ruppero le diffidenze iniziali e posero le basi anche finanziarie, supportate dall’ente Regione, perché Umbria Jazz iniziasse il suo corso. Due furono le motivazioni precipue che convinsero gli amministratori regionali e con loro l’intero gruppo dirigente dell’allora Pci a varcare la soglia dell’ignoto per avventurarsi nell’impresa Umbria Jazz: la prima, come detto, è che l’Umbria dovesse promuoversi anche sotto l’aspetto turistico strizzando l’occhio a quella musica che da oltreoceano arrivava sino a noi con la sua grande carica di libertà e ritmo, originalità e storia legata a doppio filo al riscatto sociale degli afroamericani; la seconda, ma non meno importante, era quella di voler indirizzare le politiche culturali territoriali stabilendo il principio del decentramento e delle autonomie decisionali a soli tre anni dalla istituzione delle Regioni in Italia. E’ su questi criteri che il festival, dopo i primi sei anni di allegre e disordinate invasioni giovanili di saccopelisti che misero a dura prova l’organizzazione nelle fragili medievali cittadine umbre e a Perugia, nel 1979 subì uno stop di tre anni, per ripartire in seguito su altre basi. Non più una grande festa orgiastica collettiva gratuita, ma un festival accentrato sulla sola Perugia e con biglietto di ingresso per poter fruire della musica concentrata soprattutto nel main stage dei Giardini del Frontone. Tranne che – ed è questo il grande salto qualitativo in direzione pop – negli anni tra il 1985 e il 1990, quando Umbria Jazz tentò di superarsi con il ricorso allo Stadio Curi dove radunare un pubblico di oltre diecimila spettatori. Erano gli anni in cui la scommessa Umbria Jazz appariva definitivamente vinta e sembrassero maturi i tempi per investire ulteriormente nel jazz, investimenti che nel frattempo si erano strutturati su una fattiva collaborazione pubblico-privato con, da un lato, nuove cospicue risorse e dall’altro dall’apporto di importanti main sponsor. Era quella l’era di Sting e Gil Evans e di Miles Davis al Curi, due dei momenti memorabili della storia del festival e quella l’era della giunta regionale guidata da Francesco Mandarini, amministratore della cosa pubblica regionale che ebbe il coraggio e la lungimiranza di guardare ad Umbria Jazz come ad una nuova grande festa popolare sulle orme dei concerti pop che caratterizzarono quell’epoca.
- Claudio Bianconi in Festival e Rassegne
La fine anni Ottanta e la svolta di Umbria Jazz allo stadio Curi grazie anche all’amico Francesco Mandarini
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