Intervista: Mario Lavezzi si racconta con “E la vita bussò” a Spina per il Gecko Fest

MARSCIANOMario Lavezzi porta in scena a Spina di Marsciano, venerdì 6 settembre alle 21, un viaggio musicale che parte dagli anni ’70 per arrivare ai giorni nostri. Nell’ambito del Gecko Fest (dal 6 all’8 settembre), in piazzetta della Vittoria, con il concerto “E la vita bussò”, si ripercorreranno le tappe della carriera di Lavezzi, ricchissima di successi, che lo ha portato a scrivere, cantare, produrre, arrangiare, suonare canzoni e dischi tra i più conosciuti della nostra musica, per artisti del calibro di Loredana Bertè (“E la luna bussò”, “In alto mare”), Lucio Dalla e Gianni Morandi (“Vita”), Eros Ramazzotti (“Stella Gemella”), Anna Oxa (“Non scendo”, “Io no”, “E’ tutto un attimo”, “Eclissi totale”), Fiorella Mannoia (“Succede”, “Dolcissima”, “Torneranno gli angeli”).

Lavezzi, cosa distingue una buona canzone da una che non lo è?
Ah, bella domanda! Dipende dai gusti. Nel periodo storico di un certo tipo, la gente aveva un gusto legato ai tempi, oggi i ragazzini ne hanno un altro. Quindi come si fa a distinguere una buona canzone da una che non lo è? La canzone è sempre legata all’epoca in cui è divulgata, è promossa.
– Dipende quindi dal contesto sociale e culturale, dal contesto anche della quotidianità, insomma?
Certo. I 70 e 80 e in tutti i settori, sono stati, diciamo gli anni di un nuovo giovanilismo. E la musica è esplosa: dai Beatles, ai Rolling Stones, piuttosto che Battisti e De André abbiamo avuto dei successi clamorosi proprio perché la gente li aveva recepiti in quanto tali, innovativi e comunicativi, così come nella moda, nel design, nell’arte figurativa, nel cinema, nel teatro. L’epoca in cui l’umanità, soprattutto in termini planetari vive. Io non ho dubbi per quello che sta succedendo nel mondo, anche rispetto al problema climatico, che siamo in un’epoca di decadenza. Non ho dubbi, anche se qualcuno lo nega, ma la situazione è sotto gli occhi di tutti.
– Lei è da sempre impegnato nella difesa dei diritti d’autore, ha ricoperto e ricopre ancora importanti cariche nella SIAE. Cosa pensa dell’attuale situazione anche in vista dell’introduzione dell’intelligenza artificiale?
Con l’intelligenza artificiale stanno facendo cose impensabili sino a qualche tempo fa. Per esempio l’innesto della voce di John Lennon in una nuovo singolo dei Beatles. Però il fatto che una canzone nasce per un fatto emotivo, indica che l’autenticità è soltanto umana, non la può creare qualcosa di artificiale, sono sempre le emozioni che coinvolgono le persone, le persone di cui abbiamo parlato prima, De André, Battisti e via dicendo, avevano un impatto emotivo.
– E da una macchina – lei dice – è difficile che possa emergere un’emozione…
Comunque una macchina è sempre pilotata da un essere umano. Poi, per carità, può avvenire di tutto, eh. Cioè, che la gente si faccia influenzare anche comunque da qualcosa che viene fuori dalla macchina. Ma sarebbe un altro paio di maniche.
– Noto anche il suo impegno per i giovani, promotore del concorso Campus Band, musica e matematica per cantautori, interpreti e gruppi musicali delle scuole superiori e università. Crede nei giovani, ha mai scoperto qualche nuovo talento da questo concorso?
No, perché il Campus non è un talent televisivo. Offriamo solo a chi vince, la possibilità di un master e di un video e da lì il giovane viene stimolato a mettersi in gioco, a parte quelli che vengono fuori direttamente dal Web che hanno già migliaia di follower e lì dipende come altri giovani recepiscono questo. Normalmente, guarda caso, in questo momento va il generale il Rap: Ghali, Sfera Ebbasta, Emis Killa, Fabri Fibra, Mahmood, gente che scrive, che comunque hanno dei testi che hanno senso. Altro è come se fossimo stati nella musica che ti gira intorno. Il fatto è che tutto quanto oggi si consuma in una velocità spaventosa, stratosferica. Soprattutto anche nella musica. Una canzone va a Sanremo, regge in radio due mesi, tre è un vero miracolo. Anche perché il pubblico è composto da ragazzini che con lo streaming decidono cosa ha successo e cosa no. Si stancano subito e passano subito alla canzone nuova.
– Lei è amico di Mogol ed è stato amico di Battisti: quanto hanno dato alla canzone italiana e cosa le hanno insegnato, se le hanno insegnato qualcosa?
Sicuramente mi hanno insegnato moltissimo, Battisti mi è stato amico, per carità, però per me era un punto di riferimento come altri: “E la luna bussò” l’avevo scritta solo perché comunque mi piaceva molto il reggae di Bob Marley. Però non si poteva scrivere una canzone come quelle che fanno in Giamaica. Come la nostra musica napoletana, nessuno la può rifare come la fanno i napoletani. Io mi sono ispirato sì al reggae, ma un raggae un po’ anglosassone. Ok, speravo che fosse stato un grande successo, quindi, per carità, Battisti è stato un punto di riferimento, ma, ad esempio, “In alto mare” è un testo di Oscar Avogadro. Con Mogol oggi abbiamo scritto una decina di canzoni che aspettiamo a dare a qualcuno, perché ormai quasi tutti si ergono a essere cantautori per cui non è utile restare pure interpreti. Poi vediamo che le canzoni sono scritte anche a Sanremo da 6 o 7 persone, non so come facciano.
– Cinque anni di partnership con Loredana Bertè e alcune delle sue più belle canzoni. Rimpiange qualcosa rispetto al passato?
Con Loredana poteva esserci un excursus sentimentale diverso, però eravamo figli dei fiori, amore libero, facevamo la guerra, le comuni, quindi c’era un po’ di libertinaggio da parte di tutt’e due. Era complicato.
– Nei suoi ricordi qual è stata la stagione creativa più importante?
Ma non ce n’è stata una precisa. Ricordo quei momenti in cui sinceramente ero, diciamo, tormentato. Quando sei tormentato vuoi qualcosa che comunque vuoi esprimere, vuoi uccidere qualche cosa. Ero tormentato perché dovevo lasciare Trinità dei Monti per andare a fare servizio militare.
– E’ da lì che è nata la vena compositiva, no?
Sì, è stata con l’ispirazione che era quella dei Procol Harum (band britannica anni Sessanta, tra i protagonisti della storia del rock, nda.).

– E’ dello scorso anno Capolavori nascosti, pubblicato con Mogol, 13 brani ripresi dagli album Voci 1 e Voci 2, col quale è iniziato il sodalizio artistico con Cristina Di Pietro, pianista e cantante. Lo stesso duo che sarà a Spina, quando sarà in Umbria a settembre con “E la vita bussò”. Dal titolo del concerto si evince che sarà un excursus sui brani degli ultimi 50 anni che hanno fatto la storia della pop music.
Non solo, ma anche quelli più recenti. E come se avessi rinnovato l’album “E la luna bussò”. Lo spettacolo non è solo musicale, io in qualche modo “racconto” le canzoni con una chiave differente da quella del solo ascolto.
– Sì, quindi ci svela un po’ il dietro le quinte delle canzoni, giusto?
Le curiosità, gli aneddoti magari, certo.

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.