ASSISI – Luca Bono salirà stasera, 4 gennaio, alle ore 21,15 sul palco del Lyrick di Santa Maria degli Angeli. E’ considerato dai media tra i talenti magici più interessanti della sua generazione. Il suo primo importante riconoscimento lo conquista infatti a soli 17 anni con la vittoria al Campionato italiano di magia, e due anni dopo si aggiudica il Mandrake d’Or, riconosciuto come l’Oscar dell’illusionismo. Da allora i successi si susseguono: fa televisione e gira il mondo con Arturo Brachetti prendendo parte al tour di Brachetti and Friends e agli spettacoli Comedy Majik Cho e Brachetti che sorpresa! portati in scena per 450 date in Canada e in Europa. Dal 2017 è in tournée nei teatri italiani con il suo primo one man show intitolato “L’Illusionista” che ha registrato a Torino 22 sold out consecutivi e oltre 6.500 spettatori. Nei successivi due anni di tour sono stati oltre 20.000 gli spettatori che lo hanno applaudito.
– Lei è stato più volte definito un ragazzo normale, capace di cose eccezionali. Come si sente? Più un ragazzo normale o più un ragazzo capace di cose eccezionali?
Più la prima, sinceramente – risponde Luca Bono – perché dal mio punto di vista poi gli effetti di quello che faccio, quelle cose lì, insomma, diventano tra virgolette “normali” anche per me, entrano a far parte di una routine anche se la potenza del gioco è effettivamente molto efficace, molto forte.
– Mago o illusionista?
Il mago è quello che ti legge le carte, tanto per dire, è un po’ associato allo stregone, invece l’illusionista mi piace di più come termine.
– Qual è il limite tra la realtà e la finzione?
Nello spettacolo non faccio altro che raccontare la mia storia per cui non siamo andati a inventarci niente di particolare, non siamo andati a creare chissà cosa, semplicemente raccontare la mia storia quindi, con l’inserimento dei giochi di prestigio che fanno da collante.
– Quindi realtà e finzione che si intrecciano…
Esatto, è un mix delle due: realtà e finzione.
– Cosa è più importante, stupire o emozionare?
Nel caso del mio spettacolo, un po’ tutti e due, nel senso che vanno di pari passo. Con Arturo (Brachetti, regista dello spettacolo, n.d.a.) abbiamo cercato di lavorare su entrambe le cose. Uno spettacolo solo di effetti magari risulta rischioso, invece se ci si mette qualcos’altro – può essere anche un’emozione, una risata nel senso, non necessariamente di commuovere ovviamente – e quindi cercare di mescolare più cose lo rende più valido.
– Lei porterà in scena ad Assisi lo spettacolo “L’Illusionista” per la regia di Arturo Brachetti, ma com’è nata questa partnership?
Nel 2008 frequentavo e frequento ancora il Circo degli Amici della Magia di Torino, è una scuola di magia torinese dove ho iniziato io, ma dove hanno iniziato lo stesso Arturo, il mago Alexander, il mago Berri; insomma un po’ tutti i maghi di Torino sono passati da lì. Saltò fuori che Arturo cercava qualcuno che interpretasse Harry Potter per uno spettacolo e quindi, chiedendo al presidente Marco Aimone se ci fosse qualcuno che potesse interpretare questo personaggio, il presidente gli disse “Luca” perché all’epoca avevo 14 anni e quindi avevo l’età giusta. In più avevo i capelli a caschetto e facevo un una performance con un bastone volante, per cui è stato facile che la scelta ricadesse su di me.
– In scena con lei nello spettacolo c’è anche Sabrina Jannice: come è nata questa collaborazione?
Collaboriamo insieme da orami cinque anni e nello spettacolo Sabrina si prende anche una rivincita tra virgolette nei confronti del mago a nome suo e a nome di tutte le assistenti della storia.
– Lei è stato anche definito tra i migliori interpreti del nuovo illusionismo, ma cosa differenzia il nuovo dal vecchio illusionismo?
Sul non come viene fatto, ma sul come viene impostato lo spettacolo. Senza cercare di far credere di avere appunto i superpoteri in senso vero tra virgolette o stare su un gradino molto più alto rispetto al pubblico: ecco cercare insomma di essere quello che sei cioè una persona che chiaramente conosce i trucchi della prestigiazione.
– E’ proverbiale la sua timidezza e riservatezza. Come concilia l’aspetto della performance sotto i riflettori con la timidezza?
Perché quando fai un gioco di prestigio di fatto hai un testo – anche il gioco più semplice del mondo con le carte lo ha – dove devi far scegliere una carta e ritrovarla di fatto c’è un piccolo testo che scegli una carta ricordatela a rimettere in mezzo al mazzo adesso faccio questo e la ritrovo e questa è la tua carta quindi il fatto di avere un testo se uno è timido forse ti aiuta un pochino a non dover pensare a quello che devi dire o insomma. Nel mio caso iniziai a fare i giochi di magia, magari a scuola ai compagni di classe, poi uno ti dice vieni a farlo di qua e ti porta in un altro ambiente con persone completamente diverse dove non conosci nessuno, allora vai lì, poi lo fai in un altro, poi chiaramente inizi a farlo a scuola di fronte a classi diverse e così via.