Intervista a Stefano Massini a bordo del suo Titanic che sventola bandiera ambientalista

SPOLETO – Stasera a Spoleto, all’Anfiteatro Romano, gli spettatori saliranno a bordo del “Titanic” dei timonieri Stefano Massini e Corrado Formigli che punteranno  il faro di testa d’albero su un iceberg che soprattutto in questi ultimi decenni ha stratificato disastri climatici senza precedenti che innalzano la loro potenza devastatrice in proporzione indefinibile rispetto al salire della colonnina che misura la temperatura della Terra.
La messinscena teatrale “Titanic, ovvero il pianeta affonda ma l’orchestrina continua a suonare” ha esordito il 25 giugno scorso emblematicamente a Peccioli, comune pisano notoriamente sensibile alla sostenibilità ambientale con un impianto di smaltimento e trattamento dei rifiuti che non solo li trasforma in energia rinnovabile, ma al cui interno ospita numerose opere d’arte contemporanea.

Massini &Formigli, rodata coppia di Piazza pultita con oltre 200 puntate alle spalle, approdano dunque in Umbria. Occasione imperdibile per parlare con Massini di questo e, come nostra consuetudine, di altro ancora.
– Faccio riferimento alla nostra ultima intervista riguardo L’alfabeto delle emozione. Le chiedo: Titanic perché e che emozioni deve suscitare?
C’è stato un momento in cui sembrava che il tema del clima venisse percepito finalmente con la giusta attenzione. Poi il Covid prima, la guerra poi, hanno creato una serie di impellenze diverse per cui il pianeta che si ribella e il meteo che impazzisce e di conseguenza la natura che si ribella vengono percepite ormai come qualcosa di locale, come una specie di sfortuna che flagella alcuni territori e non altri. Quindi non ci riguarda tutti. Ecco perché era importante raccontare tutto questo.
– Perché farlo a teatro?
Il teatro ha la possibilità di indagare i fenomeni andando a porsi delle domande sui fenomeni. Il teatro può porsi la domanda di dove tutto questo ha preso forma, dove è iniziato, dove è cominciato. – Lo spettacolo poggia su tre elementi fondamentali: narrazione, giornalismo d’inchiesta, musica. Iniziamo dall’orchestrina?
Musica per suscitare emotività: è pressoché continua in questo spettacolo. Tutti sappiamo che durante l’evento che colpì il Titanic in quella famosa domenica di aprile del 1912, l’orchestrina non smise mai di suonare cercando disperatamente di coprire le urla, i boati, i fragori di questo transatlantico che andava inabissandosi. Per cui abbiamo a bordo del nostro spettacolo questo ensemble di musica dal vivo che ci accompagna e che è elemento metaforico.
– Formigli?
E’ il linguaggio giornalistico, per molti aspetti testimoniale, nel senso che Corrado è stato il primo a voler incontrare e intervistare Greta Thunberg in Italia; è andato in luoghi del mondo inaccessibili e trementi come il Somaliland dove appunto c’è la più grande crisi climatica di tutto il pianeta. Per cui racconta le sue esperienze in prima persona, viste con i suoi occhi.

– Poi ci sono i suoi racconti. Narrazioni, per così dire, alla sua maniera.
Che non sono, appunto, mai delle forme letterarie, non c’è nessun foglio in scena, non c’è nessuna lettura, è sempre un racconto diretto che faccio nel linguaggio del teatro. Una narrazione che fra l’altro mescola e unisce storie e personaggi da tutte le parti del mondo, in quanto racconto di un fenomeno globale.
– Viene da chiedersi: chi sta suonando l’orchestrina in questo momento?
Il grande cancan mediatico che con grande interesse, peraltro, tenta di far suonare l’orchestrina finché non ci ne renderemo conto che il sistema del benessere, della produttività seriale a tutti i costi non è più sostenibile. In questo spettacolo vengono raccontate delle storie agghiaccianti su quello che è il prezzo, il costo del trovare tutta la frutta, il pesce, la carne del mondo sugli scaffali di qualunque latitudine a ogni latitudine.
– La sensazione è che sia diventato talmente grande il problema da non sapere più da che parte cominciare. Non le pare?
Si deve cominciare dalle scelte. Lo spettacolo parla di questo. L’altro elemento fondamentale è la consapevolezza. Quindi andare a informare le persone su cose che non sanno.
– Reazioni del pubblico in questo senso?
Tante e positive. Alla fine degli spettacoli veniamo sempre inondati di messaggi di persone che ci dicono che non conoscevamo queste storie che pure non sono piccole e marginali, ma importanti. Riguardano, in certi casi, la morte di milioni di individui; quindi non è qualcosa che si possa non conoscere però proprio il fatto che non si conoscano la dice lunga.
– Lei stasera sarà a Spoleto, in Umbria, terra di San Francesco , protettore dell’ecologia e dei movimenti ambientalisti. Quando arriva nei teatri, questi si trovano in ambiti territoriali e culturali ben definiti. Lo avverte e, se sì, come si predispone mentalmente ed emotivamente?
Ora sono in aeroporto, tra poco sarò nel più remoto entroterra della Sicilia a fare una serata e dopodomani nel cuore più remoto della Sardegna. Giro l’Italia ovunque, anche nei luoghi meno noti e frequentati. Quello che mi colpisce è che ogni posto ha una sua identità, una sua storia. E ogni luogo emana delle impellenze, delle importanze, delle priorità. Ogni luogo è figlio della propria storia. L’Italia sotto questo punto di vista è stata per molto tempo definita il Paese dei campanili. Laddove per campanili si intendevano spesso piccole risse, scontri locali, interpretate come provinciali. Io vorrei invece interpretare il campanilismo come elemento molto positivo. Nel senso che quando arrivi in luoghi come in quelli francescani, quando arrivi in Umbria, questo tema del dialogo con l’ambiente, del dialogo con la natura, è un tema presente, più presente di quanto non lo sia in altri luoghi. Ecco, questa è la bellezza dell’Italia. Quando tu arrivi in un luogo come l’Umbria, non porti il tuo spettacolo come un prodotto che ovunque vada resta uguale. Percepisci intorno a te forze, energie, voci che ti parlano. In questo caso quella di San Francesco. Quella di un cantico che cerca l’armonia fra l’essere umano e la natura che ha intorno. Prendiamo la Cascata delle Marmore: è un grande spettacolo naturale ma anche una forma di sfruttamento delle acque da parte dell’essere umano in modo costruttivo, armonico. Quando questo accade è tutto bello. Il mulino non rovina l’ambiente; il mulino è un modo di giovarsi dell’ambiente senza rovinarlo. Sono sicuro che in questa unica replica Umbria a Spoleto tutto ciò si farà sentire nel confronto con le evidenze cjhe invece presentiamo di un essere umano che violenta e stupra il pianeta.
– Giuste le provocatorie forme di protesta ambientaliste?
Assolutamente. Nello spettacolo racconto di un vecchio boss della camorra a processo: al pubblico ministero che lo interrogava sul fatto che avesse interrato rifiuti tossici vicino alla propria casa e di come non si fosse reso conto che questo avrebbe provocato la malattia e persino la morte dei propri cari. Rispose dicendo che tanto lui era anziano. Ecco, è un po’ la risposta che più o meno consapevolmente sentiamo un po’ tutti purtroppo e che inibisce la vera coscienza ambientale. Pensare che il futuro è talmente lontano che probabilmente non lo vedremo e allora… chi se ne importa. I giovani invece che il futuro lo vedono, lo sentono, lo percepiscono come proprio, hanno giustamente tutto il diritto di arrabbiarsi.
– Come ha convinto Formigli a esordire in teatro?
Di solito arrivavamo a giugno alla fine di Piazza per rivederci a settembre. Quest’anno ho proposto a Corrado di rompere il rito e siamo andati a trovare il pubblico in carne e ossa. La cosa è cosa va e del resto sono tanti quelli che ci seguono tutte le settimane su La 7.
– A questo punto ci sentiremo di nuovo quando metterà in scena Mein Kampf a dicembre al Morlacchi di Perugia?
Devo dire che torno sempre con grande piacere a lavorare con lo Stabile dell’Umbria e il Morlacchi è diventato un luogo per me caro nel senso che sono profondamente legato a quel teatro, a Nino Marino che è un amico che lo dirige con grandissima attenzione, grande intuito. Quindi con grande piacere porto a Perugia uno spettacolo che farà discutere perché, è evidentemente, una grossa provocazione che faccio portando quel testo sul palcoscenico, ma mi auguro che questo crei domande. Visti i tempi che corrono.

Riccardo Regi: Direttore di Vivo Umbria, Perugino, laureato in Lettere, giornalista professionista dal 1990, vice direttore dei Corrieri Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo, Rieti per 18 anni.