PERUGIA – Si può scherzare su uno dei lutti più atroci, quello per un genitore? All’indomani della morte della madre, Mario Natangelo rivolge le armi dell’ironia verso se stesso e inizia a pubblicare online un diario a fumetti. Disegna, vuole raccontare, prova a condividere il suo dolore una vignetta alla volta, una tavola alla volta. Ne emergono frammenti che viaggiano avanti e indietro nel tempo, un racconto dolce e doloroso, intimo e quotidiano, che – non rinunciando al sarcasmo e alla comicità – analizza la perdita e la mancanza. Intanto, la sua vita lavorativa viene travolta da un grottesco processo politico che si intreccia al dramma personale in una spassosa girandola tragica. Del suo nuovo libro, ma soprattutto su cosa significa fare satira oggi in Italia ne abbiamo parlato con il fumettista del Fatto Quotidiano venuto a Perugia in questi giorni ospite della libreria PopUp di via Birago.
– Cosa significa fare satira oggi in Italia?
Beh, devo dire che è una materia che dà soddisfazione. E’ un’industria proficua. Sai, direi che l’Italia è la Silicon Valley della satira. Proprio ci sono risorse, opportunità, non si finisce mai, pensavamo che dopo Berlusconi, sai dicevo: voglio vedere come farete satira. Mamma mia bella, ma che sta uscendo fuori, è interminabile, solo Lollobrigida ne caccia una al giorno. Alle volte uno deve staccare, io ti giuro, io domenica, poi con la mia fidanzata non ci vediamo da un sacco di tempo e le dicevo. “Cara, guarda questi giorni stacco”, lei è stanca, quasi quasi mi lascia, ma io non trovo il tempo di staccare travolto dagli eventi. Quindi in Italia fare satira è un affare. Se si guadagnassero pure soldi sarebbe un affare.
– Sei quasi laureato in legge (mancano solo tre esami), qual è l’effettiva violazione dell’articolo 21 della Costituzione secondo te?
Il riferimento alla mia laurea in legge è un colpo basso perché sono ormai 14-15 anni che devo laurearmi e il professore della tesi è andato in pensione e continua a scrivermi: ma quando ti laurei? Quindi in effetti io devo dire che rispetto alla manifestazione del pensiero penso che ci muoviamo su un crinale molto sottile poi la satira lo sai, ha tutta un’altra portata è una materia delicatissima, sai, proprio di quelle cose estremamente friabili, quelle che se le tocchi si sfaldano: è un essere ancora più sensibile rispetto a tutte le altre manifestazioni del pensiero.
– Ti senti feroce nel tuo lavoro?
Non lo so, nel senso che qualche anno fa mi sentivo più feroce. Adesso non so se mi sono abituato e mi sono rammollito. Sai quella cosa che si diventa pompieri. Non lo so, ora mi fermo, mi stanco, mi danno fastidio le polemiche, e mi pare che da quando uno smette quelle cose di quando eri ragazzo, ti passa un po’ anche quella voglia che avevi e pare che continui invece a fare polemiche. Non lo so, mi ci trovo mio malgrado dentro, cerco di non sbottare, di non prestarmi, però evidentemente il lavoro si presta e se poi dicono che sono feroce, a me fa anche piacere. Da dentro trovo che sia normale, ma anzi vorrei riuscire a essere un po’ più distaccato…
– Però forse l’ironia è anche un’arma di difesa, giusto?
Assolutamente. L’ironia non è mai un’arma di attacco, è sempre di difesa. A me, quando dicono: hai fatto una vignetta contro la Meloni, non tendo mai a considerarla come un’arma di attacco, ma è sempre un argomento di difesa, la difesa di certi valori, di ideali. Ecco.
– Dal 2009, anno di nascita del Fatto Quotidiano, vignettista del giornale. In 15 anni la tua matita ha dimenticato qualcosa?
Abbiamo visto di tutto , mi sarebbe piaciuto affrontare di più certi temi, parlo di temi sociali, di riuscire alle volte a prestare più attenzione a degli argomenti dimenticati rispetto magari a quello che è poi il tritacarne della politica di ogni giorno, però ricordo con sofferenza l’anno in cui cadde il governo Conte 1 e io mi trovavo in Cina, stavo sulla ferrovia Transmongolica, ero in treno, un viaggio lontanissimo e fanno cadere il governo quando ero a 5.000 km da casa, così oppure come succede spesso, quando mi allontano, succedono le cose. Ero in Spagna, stavamo facendo il cammino di Santiago ed è morto Berlusconi. Ma com’è possibile? I Cinque Stelle si spaccano e io sto in Patagonia. Ma sai cosa significa questo? Quello che dicevo all’inizio: in Italia non ci si annoia mai. Succede sempre qualcosa, non importa il momento dell’anno.
– Quanto incidono le tue origini napoletane nella tua attitudine alla satira?
Secondo me fa tanto, ma me ne rendo conto. Non mi considero il classico napoletano. Anche se sono nato e cresciuto a Scampia credo sia bene precisare che i napoletani sono di due tipi, c’è quello estroverso, quello legatissimo a Napoli, e c’è quello un po’ più come me, anche critico rispetto alla nostra cultura, però mi rendo conto che abbiamo una filosofia di vita unica. Tendiamo a dissacrare, cerchiamo di sminuire, di trovare sempre l’aspetto consolatorio delle cose. Ecco la cultura napoletana che io adoro e di cui sono orgoglioso, da Totò a De Filippo a Troisi. Sono quelli che nelle disgrazie è riuscita a far ridere e forse questo è quello che muove nel mio piccolo il mio senso dell’ironia.
– Passiamo al tuo libro, Cenere, dedicato al dolore di una perdita grave come quella della mamma. Come è nata l’idea? Come sei riuscito a ironizzare su un fatto così tragico?
E’ quello che abbiamo detto ora, per lavoro e anzi prima ancora, per cultura tendo a cercare il lato divertente, o comunque a cercare di farti fare la risata sulle cose brutte, l’ho rivendicato in questi anni di lavoro quando mi si criticava: non si fanno vignette sui morti, non si fanno vignette sulle tragedie, mi dicevano.
– Invece hai infranto anche questo tabù.
Mi è venuto naturale, nel momento in cui una cosa talmente brutta è successa, il dolore, lo puoi immaginare, è terribile, l’unico modo che ho trovato per esorcizzarlo, per buttarlo fuori, per dargli una forma, è stato cercare di raccontarlo a fumetti e dargli un taglio ironico, cercare di riderne, e la cosa più bella è pensare di esserci riuscito.
– Lo scorso anno sei stato querelato da Arianna Meloni, ti senti intimorito nel tuo lavoro adesso?
No, ho la fortuna di lavorare per il Fatto Quotidiano a differenza di altri che fanno il mio lavoro senza avere un gruppo editoriale alle spalle che ti protegge anche da un punto di vista legale. Parlo di questo perché può essere pericoloso, qualcosa che ti può limitare. Non voglio prendermi meriti dicendo che io sono coraggioso, non mi piegano perché posso appoggiarmi ad una struttura che mi difende sia nel momento in cui pubblico qualcosa, quindi non limitando la mia libertà di espressione all’articolo 21, sia nel momento in cui posso subire conseguenze.
Da un punto di vista legale per fortuna adesso sono coperto, diversamente ora starei pagando un prezzo che non potrei pagare. Ma vale secondo me pure molto il discorso di colpirne uno per educarne cento.
Loro magari non vogliono far male a me, ma possono intimorire tutti gli altri.
Ed è su questo che forse dobbiamo stare attenti a cercare di non fare passare, ma non per lanciare un allarme sulle minacce alla democrazia, piuttosto è un discorso molto pragmatico.