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Intervista a Luca Barbarossa, stasera a Perugia con “Cento storie per cento canzoni”

PERUGIA – Ci sa fare, oltre che cantare e scrivere canzoni. Luca Barbarossa viene da anni di Radio Due Social Club e da spettacoli live dove le partiture, spesso e volentieri, diventano testo teatrale. La prova generale l’ha fatta, a nostro avviso e ne parleremo in questa intervista, con “Roma è de tutti”, era il 2018. Ora porta a Perugia “Cento storie per cento canzoni” stasera, 16 novembre ore 21, all’auditorium San Francesco al Prato nell’ambito della stagione Sanfra, promossa da Mea Concerti in collaborazione con il Comune di Perugia.
Stavolta la parte testuale è desunta dal suo libro che è alla terza ristampa a solo un mese dalla pubblicazione.

 

In sostanza Luca Barbarossa con naturalezza e piglio del cantastorie non solo canta e suona dal vivo le canzoni protagoniste del suo libro, ma ne racconta i retroscena, le curiosità, gli aneddoti, gli inediti. Inserisce poi il tutto nel loro contesto storico e, dove serve, anche politico e sociale. Sono colonne sonore di vita per buona parte degli spettatori e destinate, comunque, ad essere ascoltate con interesse anche dal pubblico più giovane perché parlano di battaglie per i diritti civili, rivoluzioni del costume, ripropongono suoni di diverse epoche dal Risorgimento a oggi. Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo in questa intervista a Luca Barbarossa.
– Possiamo dire che le premesse teatrali di questo suo nuovo spettacolo c’erano già con “Roma è de tutti”?

Beh, ho sempre cercato delle formule che andassero un pochino più in là del concerto in sé. Penso anche a quando ero in teatro con Neri Marcorè, come del resto quando sono a Radio 2 Social Club. Nello specifico, questo è un libro che esce da me stesso e va a esplorare la storia della canzone di tutte le epoche, di tutte le latitudini, di tutte le provenienze. Ci sono brani francesi, sudamericane, cubane, americane, inglesi, italiane, napoletane. Quindi è un libro di narrazione, da storyteller: lo porto su un palco dove, in più, c’è il valore aggiunto che, chi narra, è anche un fan di questi autiri e cantanti.
– Altro valore aggiunto è che, il tutto, è accompagnato dalle immagini…
Esatto, proiezioni dell’Antica Proiettereia: suggestioni visual legate agli argomenti e ai personaggi che via via presentiamo. Un vero e proprio cinerama con uno schermo enorme.
– Chi c’è con lei sul palco a suonare?
Claudio Trippa alle chitarre e il polistrumentista Alessio Graziani, entrambi musicisti della Social Band.

– Terza ristampa del libro e, dunque, altissimo gradimento: come è avvenuta la riuscita selezione dei magnifici cento?
Partendo prima di tutto dalle mie sensibilità e scegliendole canzoni in base a quanto fosse interessante la loro storia.
– Qualche esempio?
C’è Le déserteur (Il disertore) canzone francese scritta da Boris Vian nel 1954 cantata da Marcel Mouloudji il 27 maggio di quello stesso anno, giorno della disfatta della Francia nella Battaglia di Dien Bien Phu che segna la fine della guerra d’Indocina. Parlo di Bartali, del Tour de France vinto nel ’48 e dell’attentato a Togliatti; e la canzone di Paolo Conte descrive in modo straordinario quella vittoria e quella sensazione di aspettare il passaggio di Bartali. Se parlo della colonna sonora di Biancaneve mi aggancio al tragico suicidio del suo autore, Frank Churchill, ma non solo: perché la prima volta che venne eseguita in chiave jazz, fu nel 1943 dai Ghetto Swingers, un gruppo di detenuti del campo di concentramento di Theresienstadt, in Germania.
– C’è stato qualcuno che le ha rimproverato di non aver inserito una canzone, una storia, un cantautore…
Vabbè, certo. Ognuno ha le sue preferenze.
– Qual è la canzone che le piace più suonare, quella che la coinvolge e piace più raccontare sul palco?
Un brano che adoro per vari motivi che spiego nel libro e anche sul palco è “I muscoli del capitano” di Francesco De Gregori.

Perché lui, parlando del Titanic, fa una citazione musicale all’interno di questa canzone: c’è una parte pianistica, strumentale, che riporta una vecchia ballata popolare di Caterina Bueno e al tragico naufragio della nave Sirio. Il Sirio portava i nostri migranti dal porto di Genova in Sud America. E’ un naufragio di cui non ha parlato nessuno, se non questa ballata popolare e una copertina disegnata della Domenica del Corriere. Avviene sei anni prima del Titanic. Morirono centinaia di nostri connazionali, come topi, che per di più si sarebbero potuti salvare. Infatti il Sirio ci ha messo 16 giorni prima di inabissarsi. Purtroppo i soccorsi furono lentissimi. Peraltro i passeggeri compresi i nostri emigranti viaggiarono in condizioni non molto dissimili dai migranti che arrivano oggi da noi. Il Sirio durante la rotta caricava clandestini che aspettavano su degli isolotti in mezzo al mare. E a Capo Palos la nave si avvicinò troppo a uno di questi scogli e lo urtò, facendo una fine simile alla Concordia, per capirci. Ecco, io trovo questa citazione di De Gregori sublime quanto la sua canzone, e trovo che, appunto, gli artisti sono tali anche per le scelte che compiono, in questo caso una scelta politica e una scelta importante. Per me infatti raccontare del Sirio è un modo per parlare del fenomeno dei migranti oggi e sottolineare che da quella tragedia non abbiamo imparato assolutamente niente.
– Qual è il suo rapporto con l’Umbria?
Siamo contigui, dunque un rapporto costante e che dura da tanto tempo. E poi gli umbri hanno qualcosa di sincero, di genuino, che mi somiglia.
– Siamo arrivati al tormentone del Jukebox. Le cito il titolo di alcuni suoi album e lei mi dà un aggettivo, un giudizio, un retroscena, un aneddoto. Le va?
Va bene.
– 1981 Luca Barbarossa.

L’inizio di tutto. Pensi che ho registrato quell’album a Castello di Carimate, studio di registrazione vicino Como. In una sala accanto c’era Antonello Venditti. Entrò mentre registravo “Roma spogliata” e mi disse che la canzone gli piaceva molto e mi chiese se poteva registrare lui il pianoforte. Si figuri, ero un ragazzino di vent’anni, non sapevo neanche da che parte si cominciasse a fare il cantautore, anche se il produttore del disco era Shel Shapiro.
– Venditti al piano nel disco d’esordio: niente male…
C’è di più. Per fare qualche soldo mi era capitato, tempo prima, di fare il cameriere alla presentazione di un suo disco. Può immaginare quando glielo ho raccontato: “Sai Antonello, 4 anni fa io servivo ai tavoli durante la presentazione di un tuo disco a Roma”. Ricordo che si divertì molto a sentire questa storia.
– 1987: Come dentro un film?

Beh, lì le cose cominciavano a funzionare, a diventare serie. In quell’album c’è anche Roberto che è una canzone con la quale poi vinsi “Il disco per l’estate” sia come migliore canzone che come miglior album. Da lì capii che forse questo era il mio mestiere.
– 1992, Cuore d’acciaio.

Anche qui ho un ricordo molto bello perché registravo per la Sony Music e c’erano nello studio anche Lucio Dalla e Gianni Morandi: si trattava di decidere quale brano avrei dovuto portare al Festival di Sanremo. Io preferivo il brano Cuore d’acciaio che dava anche il titolo al disco. Sia Lucio che Gianni erano per Portami a ballare. Alla fine Morandi mi disse: “Se non la fai tu la faccio io”. E’ andata come è andata.
– 2018, Roma e di tutti.

La sfida. Per la prima volta scrivevo in dialetto. Non l’avevo mai fatto. Per me ildialetto era relegato alle serate tra amici: prendevo la chitarra e cantavo le canzoni romane. Una cosa da fare tra noi. Una sera eravamo a cena a casa mia: c’erano De Gregori, Fiorella Mannoia, Niccolò Fabi. Ognuno di noi cantava qualcosa, ricordo che De Gregori suonò La leva calcistica. Io a un certo punto feci una canzone romana non mia e De Gregori rimase molto impressionato e mi disse che se avessi fatto un disco in dialetto romano lo avrebbe prodotto lui.
Rimasi parecchio colpito da questo suo commento e cominciai a scrivere in dialetto e a fargli ascoltare i brani. Gli piacquero molto, mi dette anche dei consigli, senza entrare nella produzione vera e propria, però facemmo delle cose insieme molto simpatiche. Soprattutto “La dieta”, una delle canzoni dell’album, che parlava di cibo, di ricette romane e poi, a un certo punto, diventava una canzone d’amore. Così mi trovai a scrivere in dialetto e mi accorsi di quanto mi veniva naturale, una roba dove non ti fermi più.
– 2023: La verità sull’amore.

Un album particolare perché come “Roma è de tutti” anche questo è un concept album.
Nel precedente le canzoni erano tenute insieme dalla romanità, in questo disco il collante è l’amore in tutti gli aspetti e nelle sue varie sfaccettature; ed è collegato allo spettacolo di Stefano Massini. Abbiamo lavorato in parallelo, insieme: di una canzone Stefano ha scritto il testo e io ho elaborato la musica. Il tutto, poi, è diventato uno spettacolo teatrale.
– Sempre più teatro…
La verità è che sono arrivato a una fase della mia vita, considerando anche quello che è diventata la musica oggi in cui si fa un brano e si pubblica, in cui mi piace pensare a un progetto ampio, a concept album. Sinceramente fare il brano singolo non mi interessa più.

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