PERUGIA – Giorgia Fumo: di giorno ingegnere, consulente di market intelligence, specializzata in public speaking, creatrice di contenuti personalizzati per brand e aziende. Di notte improvvisatrice teatrale, stand-up comedienne, per 4 stagioni nel cast di Comedy Central, finalista di Italia’s Got Talent.
Stasera sarà a Perugia con il suo ultimo spettacolo “Vita bassa”, all’auditorium San Francesco al Prato per la rassegna “Artemisia – donne di scena” del Sanfra.
Occasione imperdibile per parlare di questo e, come nostra consuetudine, di altro ancora.
– Doppia vita, non dico come quella del dottore romanzata da Robert Louis Stevenson, ma certo c’è di che indagare. Viene da chiedere cos’è che di notte mette quello che vive di giorno?
Tanti spunti ma soprattutto la Giorgia Fumo mattutina ha finanziato il cambio carriera, perché le carriere creative ci mettono un pochino a prendere il via e quindi ho sempre lavorato anche per finanziare il mio sogno. E per quanto riguarda la scrittura degli spettacoli, talvolta le esperienze maturate di giorno compaiono negli spettacoli che compongo.
– C’è un qualche cosa che salva della sua generazione di millennials?
Quello che preferisco della mia generazione è che siamo talmente consapevoli dei nostri difetti che ci prendiamo in giro per primi da soli. Noi gettiamo la spugna subito: diciamo da noi stessi non ci guardate proprio, lo sappiamo che abbiamo fallito in un sacco di cose; fateci stare a casa nostra a curare le nostre piante, basta, abbiamo 40 anni, non siamo più il futuro, fate voi. Lasciateci in pace. Però ecco, questo sì, siamo autoironici.
– Quando lei parla di generazione più nostalgica di sempre, cosa intende esattamente?
Perché il futuro lo abbiamo visto sgretolarsi, dal momeno che già quando avevamo vent’anni abbiamo vissuto la grande crisi del 2008.
– Quando è che ha scoperto la sua vena comica?
Devo dire la verità: da sempre.
Ero una fantastica bimba che obbligava tutti i ragazzetti e le ragazzette del parco a organizzare spettacolino, a fare i balletti, quindi questa cosa ce l’ho sempre avuta.
Ho iniziato a pensare che potesse essere un lavoro, però, da grande: a 25 anni ho iniziato a fare improvvisazione teatrale.
Prima avevo sempre fatto solo le imitazioni dei professori, degli amici, ma parlare ed esibirmi in pubblico non era assolutamente il mio forte. Mi sarebbe piaciuto, ma mi vergognavo veramente tanto.
– Poi che è successo?
Che man mano che facevo improvvisazione teatrale mi sono detta che ero bravina, mi sono specializzata anche con degli insegnanti stranieri, sempre come hobby.
Da qui è cominciata la mia doppia vita.
– La spinta decisiva a vivere di stand up comedy?
Durante la pandemia ho avuto una grossa spinta creativa.
– Se il pubblico è caldo durante il suo spettacolo è evidente che non c’è nessun tipo di problema, ma quando è poco reattivo, se le è capitato, che fa?
Se il pubblico è poco reattivo di solito è perché ti hanno chiamata nel posto sbagliato. E può capitare. Non è colpa di nessuno, tanto meno del pubblico che, magari, non è pronto o disposto ad ascoltare questo tipo di spettacolo.
Quando capita, io piuttosto mi fermo: cerco di osservare un pochino le persone. Faccio una domanda, ascolto se c’è qualcuno che ha una risata particolare, vedo se c’è qualcuno che si presta a una battuta. Qualcosa si trova sempre.
– La battuta che le piace più recitare di Vita bassa e quella che è infallibile per il pubblico?
Coincidono abbastanza, ce ne sono due. La prima è quella della donna che va verso i 40 anni e si lamenta perché in autobus un ragazzino le chiede se si vuole sedere chiamandola signora, mentre lei invece si sente giovane. Il fatto è – recito – che lui è nato quando non c’erano più le Torri Gemelle e tu quando c’erano ancora le due Germanie. L’altro è quello sulle ragazze che vengono lasciate e l’incipit è “ ti devo parlare”. Ci sono molto affezionata, perché poi è il pezzo che presentai a Italia’s Got Talent ed è quello che mi ha portata oltre l’anonimato.
– Vita bassa: doppio senso anche modaiolo?
Esattamente, bravo. Portavamo pantaloni con la vita bassa da ragazzine e poi ci siamo trovati a vivere anche una vita bassa, sta esattamente lì il collegamento.
– C’è stato un commento che le ha fatto particolarmente piacere ricevere al termine di questo spettacolo?
Devo dire che sono fortunata perché il pubblico reagisce molto bene, è molto attento e soprattutto tende a scrivermi il giorno dopo. Ci sono stati tanti messaggi che mi hanno fatto particolarmente piacere. Ne cito uno: una persona aveva ricevuto il biglietto per lo spettacolo come regalo di Natale. Nel frattempo, però, aveva avuto un grave lutto proprio a pochi giorni dallo spettacolo: “Ho deciso di venire comunque – ha scritto – e per quelle due ore non ho pensato a quanto stavo male, quindi ti ringrazio perché mi hai aiutato”. Ecco, queste sono le cose che ti fanno capire che forse non fai solo il pagliaccio sul palco, e che puoi effettivamente cambiare un po’ la giornata a qualcuno.
– Lei definisce la sua “generazione dell’esperienza” . Ricorderà la battuta del film “Un sacco bello” di Verdone in cui c’è lui che dice “vedo gente, ascolto i Genesis…” . Che differenza c’è tra quei figli dei fiori e voi?
Una bella differenza… se ho capito bene lei si riferisce al personaggio di Ruggero.
– Preparatissima…
I film di Verdone li conosco a memoria, li ho visti fin da piccola con mio padre.
– Tutto spiegato, allora. Torniamo alla differenza generazionale?
Semplice: Ruggero aveva deciso che voleva diventare il figlio di un amore eterno. Questi personaggi, all’età mia, non ci sono più. Perché è finito il budget.
Foto di ©Laila Pozzo