Avevo un po’ di soggezione quando l’ho incontrato la prima volta da “biondino di redazione” ad Arezzo. Ma anche un pizzico di orgoglio. Facevo parte della sua squadra delle Gazzette. Più del ruolo, in quel caso era direttore, a “pesare” era la penna di Francobaldo Chiocci: colta, sagace, indagatrice, sensibile, sciolta, penetrante. Una tra le firme più gratificanti per chi crede nel mestiere del giornalista. Le strade, poi, si sono separate. Ognuno ha viaggiato per la sua. L’ho stoppato oggi, sapendo che portandolo a parlare della sua Gubbio e dei Ceri “mutilati”, non avrebbe sviato. Così, si è incamminato, a me pare di poter dire volentieri, in questa intervista per i lettori di Vivo Umbria.
Gubbio senza i suoi Ceri: la sensazione da eugubino e da cronista?
“Il Carognavirus, così lo chiamo, ha fatto sì che questa città viva oggi una strana atmosfera che per metà è di lutto e per l’altra di festa. La città è tutta imbandierata, il grande Gonfalone in Piazza grande è a mezz’asta. Del resto i Ceri regolano la vita degli eugubini, come un prima e dopo Cristo. Ci si deve laureare, sposare, fare i lavori di casa? Prima o dopo i Ceri?E poi questa festa è stata sospesa solo durante la Guerra peraltro per i Ceri Grandi, quelli Mezzani hanno comunque corso. E gli eugubini al fronte a Col di Lana il 15 maggio del 1917 si fecero autorizzare dai superiori e utilizzando dei bidoni vollero comunque celebrare i Ceri”.
Mancheranno parecchio gli sfottò.
“E’ una Corsa che non ha un vincitore come nel Palio di Siena, per dire. Qui Sant’Ubaldo precede San Giorgio e infine Sant’Antonio. Però ci sono le foto che testimoniano le varie fasi e le eventuali difficoltà di un Cero rispetto ad un altro: dalla clamorosa caduta alla rincorsa di Sant’Antonio che magari riesce a raggiungere San Giorgio con gli stangoni o come Sant’Ubaldo riesce a chiudere la porta della Basilica sul Monte Ingino. A seconda di come va, le prese in giro durano tutto l’anno”.
Negli anni è cambiata?
“Sociologicamente sì. Prima era una Festa molto appartata, adesso è oceanica. Ci si allena assiduamente per portare al meglio i Ceri, si studiano le mute, si corre in base all’età dei ceraioli, si fanno addirittura pranzi in base alla RAC”.
Rac, ovvero?
“Ridotta attitudine ceraiola; come nell’esercito RAM, ridotta attitudine militare”.
Storie nella Storia…
“Misteriosa: c’è chi dice che l’origine va ricercata in tre macchine da guerra che gli eugubini, in qualche modo indirizzati da Sant’Ubaldo, riuscirono a conquistare agli assedianti composti da ben 11 città confederate, portandole poi sul Monte Ingino dove il vescovo di Gubbio era in preghiera. Per altri, visto che l’anima della Festa non è religiosa ma pagana, la traccia va ricercata in quelle che sono le Tavole Eugubine risalenti al V-IV secolo avanti Cristo, dove viene descritto un rituale per celebrare l’inizio della primavera: i giovani prendevano tre alberi e correvano festosi. Morale: questa è la festa più strana, più surreale e più antica d’Italia e dove nessuno, peraltro, paga”.
Un aneddoto personale?
“Ho la fortuna-sfortuna di avere casa in Piazza Grande dove entrano, il fatidico giorno, tra le cento e le centocinquanta persone; mia moglie Rita cucina per tutti. Un giorno lei si trovava in treno in viaggio verso Milano e nello scompartimento inizia a chiacchierare con un signore. ‘Sono di Gubbio‘, fa lei. ‘Di Gubbio?‘ fa lui: ‘Ma che città, che allegria, che ospitalità! Ricordo che sono entrato in un palazzo patrizio e ho fatto una mangiata che non le dico. Pensi: non sapevo nemmeno chi ringraziare“.
Come sarà questo “tuo” 15 Maggio?
“Guarderò sconsolatamente Piazza Grande completamente vuota. Sentirò suonare il Campanone, e anche questo ha tutta una sua storia particolare. C’è anche un’altra cosa bella da raccontare anche per dire che Gubbio è davvero la città dei matti. Il capitano dei Ceri viene scelto fra i muratori che a loro volta lo eleggono di tre anni in tre anni. Un decennio fa toccò a un uomo un po’ tozzo, bassetto, piccolo, lo chiamavano “Il Pozzetto”. Un mese prima della Festa dei Ceri cadde dalla motocicletta e si ruppe tutto. Arrivato il 15 maggio, pretese di uscire dall’ospedale e si mise a cavallo con l’ingessatura che copriva gran parte del corpo a mo’ di corazza e ha guidato i Ceri. Dopo una settimana è morto. Ho proposto di fargli un monumento come eroe ceraiolo. Peraltro personalmente ho scritto anche un libro sulla Festa: ‘Il mondo di Baldone Campanaro‘, che ha venduto anche parecchio…”.
Una Festa che ha una sacralità di popolo.
“Al punto che dopo la Seconda guerra, avendo Sant’Antonio la camicia nera, un medico molto stimato e notoriamente anti fascista, propose di cambiarla con il colore viola. C’è mancato poco che lo linciassero. Chi tocca…. i Ceri”.
Mancheranno anche le proverbiali mangiate.
“Sotto gli Arconi che sono quattro trovano posto sei quintali di cappelletti fatti a mano”.
Eugubini gente di rara ospitalità se li sai prendere per il verso giusto.
“Gente vera. Aldo Moro al pranzo dei ceraioli a Palazzo dei Consoli venne invitato a parlare. Lo fischiarono sonoramente. Non tanto per questioni politiche ma per la sacralità che ha questa festa. In quel periodo lavoravo a Il Tempo che si batteva contro l’apertura a sinistra e la notizia di quella contestazione che inviai al giornale venne messa in prima pagina. Titolo: ‘Moro fischiato alla Festa dei Ceri‘. Ricevetti non poche critiche perché avevo fatto passare Gubbio come una città inospitale e addirittura in Consiglio comunale qualcuno propose di togliermi la cittadinanza. Passò un po’ di tempo, Moro era ministro degli Esteri e mi mandarono come inviato a seguire il suo viaggio diplomatico nell’allora Unione Sovietica di Brèžnev. In aereo presi coraggio e mi avvicinai a Moro e gli dissi: ‘Ho una sorta di senso di colpa perché a Gubbio per la Festa dei Ceri..’. ‘Chiocci – mi rispose – magari tutti i fischi che ricevo fossero come quelli degli eugubini'”.
Grazie direttore per l’intervista. L’anno prossimo, in quel tuo magnifico portone in Piazza Grande, proverò a infilarmici anche io.