PERUGIA – Si intitola “Il Festival di Umbria Jazz”. E’ una ricostruzione storica, testo edito da Morlacchi Editore, l’ultima fatica letteraria di Francesco Rondolini. Questo volume rappresenta un viaggio affascinante e dettagliato attraverso la storia di uno dei festival jazz più prestigiosi al mondo.

Umbria Jazz nasce negli anni Settanta con l’obiettivo di coniugare la musica jazz di alto livello con la bellezza e l’unicità del territorio umbro. Questa combinazione vincente, questa sinestesia fascinosa tra suoni e bellezze storico-architettoniche ha trasformato il festival in una potente piattaforma di promozione territoriale, attirando migliaia di giovani e turisti da tutto il mondo.

Guidato dalla visione del direttore artistico Carlo Pagnotta, Umbria Jazz ha visto la partecipazione dei giganti del jazz sin dalle sue prime edizioni: Thad Jones and Mel Lewis, Charles Mingus, Keith Jarrett, Sun Ra, Art Blakey, Chet Baker, Count Basie, Weather Report, Horace Silver, Dizzy Gillespie, McCoy Tyner, Buddy Rich, solo per citarne alcuni. Dopo una breve pausa, il festival è ripartito nel 1982 e da allora non si è più fermato, consolidando la sua fama tra i più importanti festival jazz a livello mondiale.
– Francesco Rondolini, quali le motivazioni che hanno spinto a scrivere questo libro?
E’ lo sviluppo di una tesi di laurea magistrale presso l’Università degli Studi di Bologna. Avendo frequentato un corso di storia del jazz, mi è venuta quest’idea di fare qualcosa che percorra un po’ la storia dell’Umbria jazz. Insieme al mio docente abbiamo sviluppato il concetto di questa tecnica, poi io l’ho scritta, ho fatto tutta la ricerca e poi da quello è venuto fuori il libro, ovviamente l’ho ampliato, ho sviluppato in sintesi un manifesto.
– Il libro si articola sui primi anni di Umbria Jazz?
Sì, parte dal 1973 che è l’anno di esordio del festival. I primi anni hanno consolidato nel corso del tempo a essere e a rimanere uno dei festival jazz più importanti al mondo. Sono arrivato fin in 1987 perché 1987 credo che sia l’anno irripetibile sotto certi aspetti del cast artistico. Con, ad esempio, il ritorno di Miles Davis.

– In quegli anni Umbria Jazz ha vissuto il passaggio dal festival di eco nazionale e internazionale che cominciava ad avere a una risonanza soprattutto anche negli Usa.
Certo, destava l’attenzione internazionale, anche americana, insomma, certo. E poi, apro una piccolissima parentesi, gli americani che venivano qua sull’onda del jazz trovavano un’ambienza molto bello, appunto non i mattinieri, se vogliamo, perché erano abituati a suonare anche jam session soprattutto notturne.

Diciamo che questo è un po’ quello che ha caratterizzato anche la formazione del format di Umbria Jazz, quello di avere dei luoghi storici, architettonici, importanti, con una musica dall’impronta modernissima, come il jazz.
L’Umbria si trasformava per una decina di giorni nel Gotha di questi super artisti internazionali, il tutto esplode un po’ nel senso positivo del termine.
– Il libro è ricco di testimonianze apprese dal vivo, da Carlo Pagnotta e dai vari musicisti che hai avuto la costanza di incontrare…
Americani, quindi chi ha anche partecipato a questi testi anche hanno cordialmente risposto a qualche mia domanda che ho inserito nel testo e soprattutto gli italiani, tanti italiani tra cui Enrico Pieranunzi, Roberto Gatto, Danilo Rea, Bruno Biriaco e altri. Poi c’è Carlo Pagnotta in un’intervista “gustosa” e diretta nello stile di Pagnotta perché racconta della viva voce di Carlo, testimone diretto dalla prima edizione, che delinea a tutt’oggi quelle che sono state le situazioni di questo festival, quindi è gustosa perché poi rispecchia un po’ lo spirito di Carlo.
E’ anche la peculiarità di questo personaggio che ha avuto l’intuito e la genialità di avviare un percorso simile per quanto riguarda l’Umbria approfittando delle condizioni ideali che si erano create per far nascere Umbria Jazz. I Settanta erano gli anni della nascita delle Regioni la Regione Umbria cercava un modello e di promozione turistica legata alla musica e soprattutto al jazz. Tant’è vero che Umbria Jazz nasce come itinerante nei centri dell’Umbria e con l’apporto dell’assessore Provantini, all’inizio di Alberto Alberti che era di supporto allo stesso Carlo Pagnotta e poi l’avvicendamento con Carlo Pagnotta come direttore artistico vero e proprio si crearono appunto condizioni molto favorevoli per la nascita di Umbria Jazz.

Poi sono arrivati gli anni dei disordini, come tutti sappiamo gli espropri proletari di giovani con forti convinzioni ideologiche, ma disordini dettati anche dall’inadeguatezza del livello dei servizi che Perugia e l’Umbria potevano offrire rispetto ad una massa di persone così grande che si era riversata sulle cittadine umbre. Fino all’82 quando il festival ha ripreso a vivere dopo una pausa di 4 anni sotto un’altra formula, il festival concentrato solamente su Perugia con concerti a pagamento.
Fino a delineare gli anni in cui si è prefigurato più precisamente il futuro di Umbria Jazz così come lo conosciamo. Poi c’è stata l’introduzione della Galleria Nazionale dell’Umbria, dei teatri, e la formazione delle tre anime di Umbria Jazz, con i concerti gratuiti nelle piazze, i concerti nei teatri, e i concerti all’Arena Santa Giuliana dopo il trasferimento dai Giardini del Frontone.
Vorrei sottolineare che a livello storico potrebbe essere abbastanza interessante il tentativo di ricostruire tutti gli ensemble che hanno partecipato al festival negli anni che ho preso in considerazione. È stato un lavoro molto lungo, molto difficile, però ho avuto di riuscire a ricostruire il 100 per cento di tutti i musicisti che hanno preso parte ad Umbria Jazz.