PERUGIA – In valigia Flavio Insinna ha più libri che camicie. Un amore immenso per il teatro nato anche grazie alla frequentazione di Gigi Proietti, ricordi bellissimi dell’Umbria legati non solo al successo straordinario di Don Matteo ma di un periodo intendo vissuto con la sua famiglia, un’aneddotica infinita e una buona dose di sana e consapevole umiltà. Su tutto un bagaglio umano, oltre che professionale, che metterà ancora una volta al servizio del pubblico, lo fa in effetti da qualche decennio, stavolta del Morlacchi di Perugia, da stasera, 10 gennaio, a martedì prossimo per la Stagione dello Stabile dell’Umbria, dove dopo quasi quarant’anni interpreterà il ruolo che fu di Nino Manfredi in “Gente di facili costumi” che, peraltro, il grande artista di Castro dei Volsci scrisse assieme a Nino Marino. Gli spettacoli: stasera alle ore 20.45, sabato ore 18, domenica ore 17, lunedì ore 20.45, martedì ore 19.30.
Andata in scena per la prima volta nel 1988, la storia vede come protagonisti Anna, nome d’arte “Principessa”, una prostituta che sogna di diventare “giostraia” e Ugo, l’inquilino del piano di sotto, intellettuale che vivacchia scrivendo per la tv e per il cinema e sogna di fare film d’arte. Una notte Ugo, stufo per la coinquilina che tornando a notte fonda e accendendo il giradischi l’ha svegliato, si ritroverà per una serie di concause a dover forzatamente convivere con la “Principessa” in un confronto-scontro in cui le posizioni vanno mano mano ammorbidendosi. Il regista è il figlio di Manfredi, Luca.
Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo con Flavio Insinna.
– Una bella prova quella di indossare i panni di Nino Manfredi: da che parte ha cominciato?
Quando Luca Manfredi è venuto a propormelo una prima volta ho detto “no Luca, lascia stare”. E poi c’era stato da poco il suo film “In arte Nino” dove Elio Germano era stato bravissimo. Gli ho detto: “Chiama lui”, ma ha insistito e allora, dopo lo “spavento” iniziale, ho approcciato il testo.
– In che modo?
Abbiamo fatto molte riunioni anche solo leggendo il copione, un metodo efficacissimo perché si inizia a immaginare una scena…qui mettiamo l’angolo della cucina, qua il divano. Avevamo, su tutto, la fortuna di avere Luca alla regia che era stato aiuto regista nella versione col papà. Molte cose se le ricordava; comunque il DNA di famiglia conta ed è lì a proteggerci. Poi sono cresciuto alla scuola con Gigi Proietti, innamorato di quel teatro lì, e la cosa mi ha aiutato ad accettare questa sfida, altrimenti sarebbe stato da pazzi. E poi c’è una stata una coincidenza davvero particolare…
– Quale coincidenza?
Una roba pazzesca a pensarci. Frequentavo la scuola di Proietti e, oltre alle lezioni pratiche, venivamo divisi a gruppi da tre e mandati a fare delle interviste a personaggi dello spettacolo. Coincidenza ha voluto che io fui mandato a intervistare Nino Manfredi. E ho persino ritrovato la cassetta audio datata 1989: me la sono riascoltata, poi l’ho sdoppiata e regalata a Luca.
– Con lei in scena c’è Giulia Fiume. Che mi dice di lei?
Abbiamo fatto tanti provini e sono stato sempre presente, facevo da spalla. Anche lì siamo stati molto artigianali, come chiede il teatro. Non abbiamo avuto fretta. Abbiamo visto tante attrici bravissime, leggevamo insieme le scene. Il regista voleva essere strasicuro e alla fine gli ho detto: “se posso dire la mia dico che per me è Giulia, in questo mondo non esiste la perfezione, ma parlando di imperfezione perfetta lei ci si avvicina parecchio”.
– Per una giusta visione dello spettacolo che consiglio dà al pubblico?
Premetto che lo spettacolo lo abbiamo fatto a Roma per l’Epifania di un anno e fa e poi tre sole date a Faenza, dunque quello del Morlacchi di Perugia sarà un banco di prova anche per noi.
Detto questo, credo che in un mondo così pazzo, folle, feroce, se ti apri all’altro seppure ti pare lontanissimo da te e dal modo in cui presumi di essere o ti senti, ci riusciamo a salvare. E non tanto perché ci accontentiamo, ma perché magari, invece di giudicare, mettere i like, i vari cuoricini, ci mettiamo in ascolto con curiosità e parliamo. Quindi il pubblico dovrebbe venire con la voglia di aprirsi, di godersi questa storia che è chiaramente una finzione però, come diceva Gigi Proietti, un conto se è fatta per finta, un conto se è finta.
– Tormentone: lei ha scritto libri, fatto tv, cinema e teatro. Ci dà un aggettivo, una riflessione su cosa sono e rappresentano per lei queste arti? Iniziamo dalla televisione?
Una grandissima possibilità. La mia vita comincia a cambiare dall’Umbria, con Don Matteo. La tv ti può stravolgere l’esistenza ma non ne devi fare il tuo dio. Ricordo che dopo le prime puntate di Don Matteo mi ritrovavo gente ad attendermi fuori dal camerino. Se pensi che solo la tv sia la tua felicità rischi, invece è una cosa che ti devi saper godere nella giusta misura. E poi c’è anche un’altra cosa per me è importantissima e che può piacere o no, ma se ti vedono in televisione poi vengono anche a teatro. In questo Paese bisogna che la gente vada a teatro e noi ce la dobbiamo far avvicinare.
– La scrittura?
Ho sempre scritto fin da ragazzino, in realtà; poi mettevo tutto dentro il cassetto. Avendo la casa piena di libri ho sempre avuto da una lato molto rispetto della letteratura e dei suoi autori, dall’altra una vera passione. Io in valigia ho più libri che camicie. Quando è morto papà, ho tirato fuori dal cassetto ciò che avevo scritto. Non ho solo risistemato il tutto, ci ho aggiunto delle cose anche dell’ultimo periodo, tremendo, della malattia infinita di mio padre, straziante, e così è cominciato. Scrivere significa poter andare dove vuoi, viaggiare, creare, sono ore che passi con grande intensità anche fisica e provi un grandissimo senso di libertà.
– Il cinema?
Premetto che ne ho fatto poco ma ho avuto la fortuna di incontrare una persona che è proprio nel cuore e lo sarà per sempre che è Diego Abatantuono.
Mi piace poi ricordare, perché per me è stato un maestro, anche Enrico Oldoini, che è scomparso qualche tempo fa, perché mi volle in un suo film con l’immenso Paolo Villaggio. Del cinema penso che ti sceglie, nel senso che non mi sono mai più di tanto affannato a cercare o fare provini perché ho sempre pensato di non essere in grado; e penso che se qualcuno si giustifica dicendo “il cinema non mi ha capito” mi spiace per loro, ma tendo a pensare che piuttosto è il cinema che non ti ha preso.
– Il teatro?
Un mare aperto.
– Chiudiamo con il suo rapporto con l’Umbria?
Gubbio per me è come Italica e io Ulisse che torna a Itaca.
Se mi dici Perugia, non vedo l’ora di essersi, perché pure lì più volte abbiamo girato scene di Don Matteo. E se mi dici Umbria in generale, penso alle cose che avevo, alla mia famiglia, a come stavamo bene.