Intervista a Alessandro Di Battista che porta a Perugia il suo teatro politico con il caso Assange-Wikileaks

PERUGIA – In tempi molto sospetti è iniziata la sua battaglia. Dodici anni fa. In piena estate. Ad agosto. Dopo aver letto un articolo di Sergio Di Cori Modigliani, illuminante rispetto alla vicenda Assange-Wikileaks. Cosicché ora, in tempi disperati, ad ascoltarlo sono in tanti. Alessandro Di Battista, per la rassegna Encuentro, sarà mercoledì 20 marzo all’Auditorium di San Francesco al Prato di Perugia con il suo “Assange. Colpirne uno per educarne cento”. Già, il suo che? La definizione del palesarsi in pubblico, in questo caso, non è semplice. Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo con il diretto interessato.

– Come preferisce sia definito ciò che sta portando sui palcoscenici italiani?
E’ un monologo di teatro politico, un monologo di informazione che fa il punto sul caso Assange e alle informazioni che ci ha fornito in base alle quali possiamo leggere il presente e in particolare le guerre di oggi: dall‘Ucraina alla carneficina della Striscia di Gaza.
– Proprio per questa stretta connessione con l’attualità il suo è per forza di cose un lavoro in costante divenire…
Ho composto questo monologo in tre mesi, diciamo a partire dall’aprile dello scorso anno. E l’ho aggiornato costantemente da allora oggi con nuove informazioni, anche sulla base di quello che sta avvenendo in Palestina.
– Siamo tutti in attesa di capire quale sarà il futuro di Assange in particolare riguardo la sua estradizione negli Stati Uniti d’America. Cosa ci può dire a riguardo, verrà concessa?
Non lo so, ma la realtà è comunque un’altra. Di fatto Julian Assange è già stato ammazzato. Dal punto di vista strettamente personale gli hanno già tolto oltre 10 anni di vita, ma soprattutto, a livello più generale, l’hanno disinnescato, perché nelle condizioni in cui si trova non ha potuto lavorare, non ha più potuto essere operativo. Da qui la riflessione su quello che abbiamo perduto in termini di informazioni utili a capire e leggere il presente. Ciò riguarda direttamente la libertà di stampa in Occidente, dunque la nostra stessa libertà. Il tutto, come sottolineo in quello che pubblicamente dico sul palco, nel silenzio assordante dei media mainstream divenuti pavidi, indolenti, conformisti; il tutto in un mondo alla rovescia in cui è più grave svelare i crimini che commetterli.

– Riguardo l’estradizione lei ha parlato di possibile “grazia” di Joe Biden. In base a cosa?
Non lo so se questo avverrà, ho solo detto che non mi stupirei qualora la grazia venisse concessa poco prima delle elezioni americane. Così Biden se la potrebbe giocare in campagna elettorale. Come dire, noi li liberiamo mentre in Russia li ammazzano. Ovviamente se questo dovesse avvenire sarei contento. Sia chiaro. Certo sarebbe soltanto campagna elettorale valutando ciò che ad Assange è stato inflitto fino ad ora.
– Ha avuto più modo di parlare con Assange dopo l’incontro che ebbe con lui 12 anni fa all’ambasciata dell’Ecuador in Gran Bretagna?
No. Ho rapporti con i suoi familiari, con la moglie Stella che fa un lavoro eccezionale non soltanto a difesa di suo marito, ma della libertà di informazione. Poi ho contatti con gli avvocati che si occupano del caso.

– Lei ha ribadito più volte che l’inizio del suo interesse per il caso Assange è nato quando era parte attiva del Movimento 5 stelle in base a un articolo di Sergio Di Cori Modigliani. Rispetto ad allora il caso Assange è montato esponenzialmente anche sul fronte degli scenari internazionali che sono di stretta attualità. Dove arriveremo?
Quando esce l’articolo?
– Perché chiede questo?
Non parlo di una cosa che può accadere tra oggi e domani perché non lo so. Certo è che ci stanno trascinando in guerra, e se è facile che ciò accada in base a false verità che la possono innescare, è altrettanto vero che può essere fermata in base a verità acquisite. In un momento in cui una parte della politica europea ci vuole trascinare in una guerra contro la Russia, è opportuno conoscere determinate verità.
-A proposito di Russia, come giudica la posizione di papa Francesco e l’appello all’Ucraina?
Innanzitutto non capisco dove starebbe lo scandalo. Non capisco secondo chi il capo della Chiesa cattolica avrebbe potuto dire: più armi, più armi, più armi, andiamo a vincere. Il Papa ha opportunamente e giustamente consigliato, per ciò che rappresenta, che è opportuno il negoziato e che è questo il momento di attivarlo per evitare che vengano uccise molte più persone e magari che il conflitto possa addirittura peggiorare per l’Ucraina sul campo.
Il punto è che chi non vuole la pace sono le grandi industrie belliche e coloro che vi si arricchiscono. Soprattutto quelle guerre che non hanno sbocchi immediati, non di successo, quelle durature. Assange anni fa disse che l’obiettivo della guerra in Afghanistan non era la vittoria, ma farla durare più a lungo possibile. Purtroppo è lo stesso obiettivo della guerra in Ucraina.
– Lei sarà mercoledì a Perugia. Inevitabile la domanda sul caso dossieraggio. Che idea si è fatto?
Non credo che ci siano dossier. Per il resto ritengo che occorrano tutti i chiarimenti del caso e che se ci sono dei reati vanno perseguiti e puniti. Da qui a descrivere questa vicenda con un attacco alla democrazia, una sorta quasi di eversione, è ridicolo e chi cavalca questa ipotesi lo fa per convenienze elettorali.
– Libertà di stampa: dalla legge Cartabia all’emendamento Costa. Ci sono margini per i giornalisti di continuare a fare il proprio lavoro?
Ribellandosi. E’ evidente che la legislazione va sempre più a difendere il potere politico e che questa storia della privacy è un pretesto. Nessun cittadino teme che questo diritto venga leso perché non è un personaggio pubblico. Il politico lo è.
– In effetti lei fu registrato a sua insaputa da un ex direttore di Gruppo Corriere, Franco Bechis, e non se ne lamentò…
Fece il suo mestiere di giornalista. Ero in Parlamento e in quanto tale dovevo rispondere di ciò che asserivo dentro all’Aula e fuori da lì. Ho detto cose coerenti al mio comportamento. Io ho fatto il mio, Bechis il suo.
– Qual è attualmente il problema principale del giornalismo italiano, a suo avviso, riguardo la libertà professionale di chi fa informazione?
In Italia sono gli editori “impuri”. Ovvero i proprietari di giornali che hanno propri interessi e non quelli, appunto, della salvaguardia della libertà di stampa e di opinione.
– Lei in politica si era messo da parte. Ora, di fatto, è tornato in scena utilizzando You Tube e tv. Sta pensando di tornare ?
Guardi che io in politica ci sono sempre stato e non me ne sono mai andato. Ho continuato a farla.
– Fa politica in altro modo, o no?
Se si riferisce a quella del Palazzo, certo, quella non mi interessa più. Campo grazie al monologo su Assange. Vivo del mio lavoro e questo, onestamente, mi inorgoglisce perché non devo dire grazie a nessuno e quindi posso dire liberamente tutto quello che penso e che, ovviamente, si può condividere o meno. Questa è una grande ricchezza. Posso dire di essere uscito dal palco per mia volontà e non perché qualcuno mi ha trombato alle elezioni, a differenza di altri.
– Viviamo tempi difficili e confusi, soprattutto pensando ai giovani…
Francamente a me pare che siano più confusi gli adulti. Magari riguardo ai giovani parlerei più di disillusione. Quando guardo alle manifestazioni in favore della Palestina ho piuttosto tanta speranza. Sono dalla parte loro e li invito a manifestare ù, ancora di più perché è in atto un genocidio vergognoso.
– Il complimento che più ha gradito al termine della sua performance di teatro politico?
Grazie.

Riccardo Regi: Direttore di Vivo Umbria, Perugino, laureato in Lettere, giornalista professionista dal 1990, vice direttore dei Corrieri Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo, Rieti per 18 anni.