Quello appena trascorso è stato un weekend molto importante per gli eventi di Moon in June, nell’ambito della rassegna Sergino Memories.
Dopo l‘uragano CCCP (del quale si è già avuto modo di raccontare), ad inaugurare il nuovo spazio della Barton Arena al Barton Park di Perugia, era utile passare qualche per dimenticare i disastri calcistici vissuti nel tardo pomeriggio di sabato.
Allora niente di meglio che la rassegna di musicisti umbri si sono alternati sul palco nella stessa location, con Il nostro concerto, questo il titolo scelto, che ha preso il via intorno alle 20:30 con l’esibizione di Miriam Fornari, che ha presentato il suo album d’esordio Mora.
Un’esibizione in quartetto, con lei alla voce e tastiere, Ruggero Fornari alla chitarra, Joe Rehmer al basso e Stefano Tamborrino (che ha sostituitto all’ultimo momento Evita Polidoro) alla batteria, molto interessante.
L’album della giovane musicista assisana porta una ventata di freschezza, con un’atmosfera sospesa tra jazz e canzone d’autore minimalista; sicuramente da seguire.
Poi è stata la volta di Andrea Volpini (voce e tastiere), che in duo con il chitarrista Francesco Ascani ha presentato tre brani; il primo dello psichiatra calabrese (ma ormai perugino d’adozione) Silvio D’Alessandro, e due interpretazioni di Lucio Dalla (Se io fossi un angelo e Balla balla ballerino).
Quindi l’Ensemble Micrologus, legata alla figura di Piazzoli, così come L’Estate di San Martino, per il comun denominatore di un artista indimenticato che è purtroppo venuto a mancare ancor prima di lui: Adolfo Broegg.
Goffredo degli Esposti, Gabriele Russo, Enea Sorino e Federica Bocchini hanno eseguito musica medievale ed ispirata ai Carmina Burana pescando in particolare dall’album ‘In festa: canti d’amore e di festa del Medioevo’.
Quaranta minuti circa dove i particolari strumenti utilizzati nelle loro esibizioni (dalle campane al salterio, al flauto a tre fori, a quello buttafoco, al tamburo a corde, alla ribeca, ed alla lira da braccio), hanno contribuito creato una magica atmosfera.
Penultimi a salire sul palco i musicisti de L’Estate di San Martino; la band, che nel 2025 festeggerà 50 anni di carriera, si è presentata con la nuova line up: Riccardo Regi, chitarra 12 corde; Stefano Tofi, tastiere; Sergio Servadio, batteria; Marco Pentiricci, voce (negli ultimi due brani); Mauro Formica, basso, ed i nuovi arrivati: Alessandro Cellini, chitarra e Francesco Tufo, voce.
Durante il concerto, che ha visto poi il coinvolgimento di due elementi dei Micrologus, Gabriele Russo e Goffredo Degli Esposti e di Alessandro Deledda (alle tastiere ed alla fisarmonica), la band perugina ha eseguito diversi brani.
Da Archivista di Febo a Long now clock da Talsete di Marsantino fino a Il monaco Pierre ed Immaginami dall’ultimo lavoro, Kim; poi Mater (quando sul palco è salito Marco Pentiricci); Amoris Odores con le voci dei due cantanti che s’alternavano), fino all’emozionate ricordo di Francesco Di Giacomo in S.E.N.O., che Massimo Sordi e Piazzoli presentarono al gruppo.
Molto positivo il giudizio sul nuovo chitarrista Alessando Cellini, che ha portato un sound forse più aggressivo nel suono della band e sulla voce del cantante Francesco Tufo, dall’ottimo timbro.
A chiudere la serata il duo Toti Panzanelli (chitarra) e Nicola Polidori (batteria); sul palco è stato presentato il recente album The second half of life, nato durante la pandemia.
Formato da otto brani tocca diversi stili, dal prog al jazz, alla fusion in una commistione che come racconta il chitarrista è anche una riflessione sulla estremizzata velocità odierna di fruizione della musica (da Youtube alle varie piattaforme), del tutto rivoluzionata rispetto a neppure troppi anni fa; i due si sono ben destreggiati sul palco e loro esibizione è stata gradevole e ricca di spunti.
E poi ieri sera ad Umbertide, nella cornice che aveva ospitato il festival “Rockin’Umbria”, l’omaggio a Robert Wyatt con il quintetto di John Greaves.
In piazza San Francesco per circa 90 minuti si è respirata l’aria della cultura, di quella musica che tra gli anni’60 e ‘70 ha portato alla ribalta la scena di Canterbury.
Ed è cosi che lo spettacolo “John Greaves play Robert Wyatt and more” ha emozionato, con una scelta dei brani che ha subito colpito al cuore con l’iniziale Alifib, dal disco più celebre di Wyatt, quel Rock bottom che nel 1974 segnò il ritorno del musicista dopo l’incidente di appena un anno prima.
Assieme a Greaves sul palco il cantate e chitarrista negli anni recenti dei King Crimson Jakko M Jakszyk; la giovane Annie Barbazza, da tempo collaboratrice di Greaves (con cui ha inciso il recente e bellissimo album Earthly powers), impegnata al piano ed alla voce ed ormai ben più di una promessa per il prog italiano.
Quindi la trombonista Annie Whitehead, con alle spalle collaborazioni tra gli altri con Carla Bley, Elvis Costello e Chris Rea oltrechè lo stesso Wyatt, per il quale ha suonato nel 2003 nell’album Cuckooland ed infine il batterista francese Régïs Boulard.
In repertorio durante il concerto anche brani di John Graeves e Peter Blegvad come Twins & trios e Swelling valley (proposto tra i bis); dei Matching Mole: God song e Gloria gloom, ed Islands dei King Crimson di Robert Fripp.
Molto affiatato il quintetto; essenziali gli arrangiamenti, con il trombone della Whitehead a punteggiare, la chitarra di Jakko M Jakszyk, che libero dalla “morsa” di Fripp s’ è prodotto anche in in un paio di pregevoli assoli; il cuore pulsante con la ritmica di Greaves e Boulard, ed infine Annie Barbazza, ottima pianista con voce che si integrava perfettamente sia come solista che nei momenti corali.
Molte composizioni di Greaves tra cui la splendida How beautiful you are, The song, Summer on ice ed Earthly powers e naturalmente altre di Wyatt: da Forest ad Alliance a Maryan fino ad ulteriori due tratte da Rock bottom: Little red riding hood hit the road e soprattutto la notissima e sempre affascinante Sea song.
Un concerto che in circa 90 minuti ha lasciato il nutrito ed attento pubblico felice d’aver assistito ad una bellissima serata nel segno di Robert Wyatt e nel ricordo di Sergio Piazzoli.
Le foto di sono di Diego Zurli