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Il solito, grande, favoloso cantastorie: Vinicio Capossela riempie di magia l'Anfiteatro di Gubbio

GUBBIO – Mai banale. Sempre in sintonia con ciĆ² che gli sta intorno. Vinicio Capossela ieri a Gubbio, all’Anfiteatro Romano, ha per l’ennesima volta dimostrato che il canto di popolo, quello delle radici, della ricerca folclorica, delle storie, dei racconti, delle leggende, opportunamente rivissute e musicate dal talento, ci entrano dentro. E non ci lasciano.
Trent’anni sono poco o sono niente, dipende da cosa ci metti. Artisticamente parlando lui ha versato se stesso e quelle cose con le quali ĆØ cresciuto. Si ĆØ presentato in elegante “satanico” completo rosso, scarpe comprese, e ha ripercorso in un vorticoso “pandemonium” i brani che lo hanno reso celebre. Assieme a lui il maestro Vincenzo Vasi e, forse,Ā  suo malgrado, i famosi basettoni bianchi sono apparsi in perfetta sintonia con alcuni dei richiami piĆ¹ inquietanti caposselliani.
A parte il look, sul palco i due si sono dimostrati in perfetta sintonia. A partire dal magico uso del “Theremin”, prima diavoleria elettronica con due antenne e le mani che scuotono l’aria per modularne il suono, all’uso delle percussioni, fino alle dolcezze del vibrafono passando per le timbriche sintetiche delle campionature.
Dalle chitarre al pianoforte alle tastiere Vinicio Capossela ha diretto dal par suo una scaletta che ha chiesto al pubblico, come sempre, partecipazione, adesione, ritmo. Commovente la dedica a Piazzoli e divertente quella alla compagna di SerginoĀ Patrizia Marcagnani organizzatrice del concerto”che ama troppo la bossa nova” (Camera a Sud il brano che ha suonato per lei).
E poi un’inifinitĆ  di richiami a Gubbio e all’eugubinitĆ : dalla patente di matto, al lupo per l’occasione “versopelo”, dai Ceri a Sant’Ubaldo. Fino al costone ghiacciato che, Capossela, visto il clima gelido di ieri, ha pensato fosse proprio da queste parti.
Applausi a scena aperte e balli improvvisati, hanno comunque scaldato corpo e anima.
A presto, Vinicio.

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