Non so voi ma personalmente ieri nella disamina dell’ultimo Dpcm non ho sentito nemmeno una parola da parte del presidente del Consiglio né tantomeno domande da parte dei giornalisti deputati al ruolo di privilegiati intervistatori, riguardo musei, teatri, cinema. Si dirà che c’era da pensare a ben altro, a cose serie: ai cenoni, alle settimane bianche, alle vigilie da tavoli da sei, agli acquisti di doni per sopravvivere alla festa di tutte le feste. Argomenti, ben inteso, che hanno tutti una loro valenza. Ma una parola, una, si poteva e doveva pur spendere. E’, questa, la prova provata di quanto il Governo abbia considerazione del “comparto”. Con il ministro deputato al MiBACT, ormai, che punta tutto sul digitale a tempo indeterminato. E a ritenere, tutti quelli che siedono nei vari scranni a vario titolo, che possano bastare e avanzare i ristori. Che poi prendono solo alcuni, ben inteso, di quelli che ci “fanno tanto divertire”, come ebbe la bontà di ammettere in un momento di umanità Conte in uno dei suoi annunci alla Nazione. Ma oltre a questo, che non è certo poco, la percezione più inquietante è che pare di capire che anche gran parte del nostro Paese, ormai, si stia adeguando supinamente a starsene col sipario chiuso.
- Riccardo Regi in Editoriali
Il presidente Conte e la cultura dimenticata
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