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Il mio amico Enrico

Ci conoscemmo che eravamo giovanissimi. Enrico, mio fratello Luciano ed io. Per strada. A Borgobello, dove lui abitava, o per corso Vannucci. Non ricordo. Si giocava con i giochi di gioventù. Quello spirito goliarda, a pensarci bene, è sempre rimasto l’elemento che ci ha unito. Gioco inteso come modo di vedere la vita, di interpretarla. Lui con humor irresistibile e spontaneo. Io con un connaturato senso dell’ironia. Lui con le parole, con i suoi scritti, le sceneggiature, i copioni. Io con il tratto, il disegno, i colori. Quando partì per Roma ci perdemmo di vista com’è naturale che sia quando si diventa adulti.

Una strada, di  nuovo, ci ha fatto però ritrovare, via Montenapoleone a Milano.  Enrico venne a visitare la mia mostra, erano gli anni Ottanta, e da lì un nuovo inizio. Una serie di incontri e di libri in cui si sono fusi, di nuovo, parole e segni: “Si metta un attimo nelle mie penne“, libro in cui per l’occasione si unì un altro nostro grande amico, Francobaldo Chiocci; oppure “Pizzi e nastrini” e “Se le donne facessero la cova“. Ripensare ai concetti, ai riferimenti, ai confronti, alle riflessioni, alle risate, alle confidenze che questi nostri libri ci hanno portato a fare, rende, ora, sempre più profondo il solco della distanza che si è frapposto fra noi. Un dolore sincero per un’assenza che pesa sempre più quando, guardandomi intorno, non trovo gli amici con i quali ho percorso la mia vita, quella voglia di esprimere e fare cultura per la nostra città fino a varcarne i confini.

Caro Enrico, una strada ci ha fatto incontrare a Perugia, un’altra ci ha consentito di rivederci a Milano. I nostri passi,  le nostre storie, le nostre tracce, gli anni di un’Italia che sprigionava gioia di vita, l’arte di Fellini, le tensioni politiche, sociali e culturali vissute anche con la nostra Bonazzi che tu hai sempre amato e frequentato, rimarranno. Chi vorrà, queste tracce, potrà riconoscerle.

Nel frattempo, fai buon viaggio, amico mio.

 

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