Così Ilaria Borletti Buitoni nel giugno dello scorso anno su Twitter scriveva da ex sottosegretario al ministero dei Beni culturali e le attività culturali: “Sei anni fa ho lasciato il Fai, Fondo ambiente italiano, per la politica e per 5 anni al Mibac mi sono occupata di paesaggio e cultura: oggi il CdA del Fai mi ha nominato vicepresidente. Continua l’impegno per una grande istituzione che ho sempre avuto nel cuore!”.
E da vice presidente del Fai e da addetta ai lavori visti i precedenti ruoli governativi rivestiti, la rivista specializzata Artribune pubblica oggi un intervento di Borletti Buitoni che riportiamo per i lettori di Vivo Umbria perché affronta la Questione Cultura alla luce della pandemia e delle misure governative adottate e offre spunti per una attenta e ampia riflessione.
“Con il nuovo Decreto Legge Rilancio sono previste consistenti risorse per la cultura e questo dà un barlume di speranza ad un settore in affanno e che non vede, per adesso, la luce dopo questo lungo tunnel. Dalle istituzioni che si occupano di spettacolo dal vivo e che rappresentano una filiera lunga che comprende non solo gli attori e i musicisti, ma tutti coloro che lavorano dietro le quinte con grandi professionalità, alle fondazioni museali che improvvisamente hanno visto crollare il numero dei loro visitatori e dei loro sostenitori, alle imprese culturali che tutelano il patrimonio storico artistico e naturalistico, ai festival che sono una proposta diffusa di grande attrattiva per quel turismo culturale al quale certamente dobbiamo volgere la massima attenzione per il rilancio di un comparto determinante del Paese, alle imprese culturali creative in ginocchio, alle cooperative che gestiscono siti preziosi che sarebbero altrimenti abbandonati: tutto il comparto che ruota attorno all’offerta di cultura e alla tutela del patrimonio culturale in Italia, guarda con fiducia all’attenzione che il Governo sembra manifestare per questa crisi senza precedenti che li ha colpiti.
FUTURO DEI BENI CULTURALI: DIFFICOLTÀ E PREOCCUPAZIONI
Una preoccupazione resa ancora più profonda dai tagli annunciati dalle Regioni e dalle Fondazioni bancarie alla cultura a favore di emergenze sociali e sanitarie. Permangono tuttavia serie perplessità che nascono dall’evidente difficoltà generale nella quale il settore cultura si trova da molti anni essendo la spesa destinata ad esso di molto inferiore a quanto avviene in altri grandi paesi europei. Lo spettacolo dal vivo, per esempio, ha sempre lamentato da un lato un eccesso soffocante di burocrazia, dall’altro l’attribuzione dei finanziamenti pubblici legati a dei contorti algoritmi e troppo in ritardo per poter preparare, in linea con quanto avviene nelle istituzioni europee, il proprio cartellone; le fondazioni culturali sono spesso giudicate con sospetto come se il principio di sussidiarietà, per altro previsto dalla nostra Costituzione, non trovasse piena realizzazione nella loro opera di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale senza nessun fine di lucro e con dei bilanci trasparenti e certificati; esistono poi tassazioni inique sia per le aziende, ma che diventano assurde soprattutto per il terzo settore come l’IRAP che non andrebbe solo sospesa, ma abolita. Questi sono alcuni esempi, a cui certamente aggiungere i problemi del mondo dell’audiovisivo e dell’editoria, di quanto il comparto della cultura soffra di mali in realtà antichi la cui cura non può essere che parzialmente l’accesso ai fondi per l’emergenza stanziati dai decreti appena emanati.
LE PROPOSTE
Sono mali che devono essere curati alla radice se si ritiene che questo comparto rappresenti un’insostituibile leva per far ripartire il Paese. È necessario ricordare un principio troppo spesso disatteso: i fondi pubblici dovrebbero essere destinati alla crescita culturale di una comunità, dovrebbero garantire l’accesso alla cultura come diritto primario dei cittadini e dovrebbero servire a tutelare l’immenso patrimonio culturale del paese e a renderlo fruibile da tutti.
Da ciò ne deriva un’implicita critica a quanto è avvenuto nel passato: i contributi a pioggia, le commissioni preposte a sceglierli non sempre qualificate, la poca interazione tra lo Stato e le Regioni, il mancato accesso ai Fondi europei, come già detto il peso burocratico assolutamente insopportabile nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, un apparato normativo pesante e inefficace nel definire l’azione dei diversi soggetti e infine la poca trasparenza ed efficacia nei controlli ex post a quelle istituzioni che hanno ricevuto sostegno pubblico; sono queste alcune lacune che se fossero colmate porterebbero ad una vera e positiva svolta per la cultura in Italia.
Al ministro Dario Franceschini si devono iniziative fondamentali come l’Art bonus che finalmente favorisce anche il sostegno sia di aziende che dei cittadini alla cultura e che recentemente è stato esteso a tutti comparti dello spettacolo dal vivo anche quelli che ne erano stati esclusi. Certamente è meritevole l’indennità per i lavoratori dello spettacolo anche se andrà prorogata nei tempi.
Infine un auspicio che le regole per la riapertura nel rispetto delle norme sanitarie siano chiare e soprattutto attuabili: senza questo sarà una falsa ripartenza che servirà solo a contare i numerosi sipari che non si alzeranno più nei teatri e nelle sale da concerto e le tantissime iniziative che spegnendo la loro luce per sempre priveranno il paese più amato del mondo per la sua cultura, arte, bellezza e creatività della sua identità”.
Foto di copertina e testo tratti dalla rivista Artribune