BEVAGNA – Domenica 30 aprile alle ore 17 il Teatro F. Torti ospiterà il prestigioso Duo composto dal pianista napoletano Bruno Canino, concertista di fama internazionale e riconosciuto come uno dei massimi pianisti e cameristi dei nostri tempi, e il violinista milanese Alessio Bidoli, classe 1986, raffinato interprete dotato di grandi qualità tecniche ed espressive. L’associazione Amici della musica di Foligno ha scelto per l’occasione l’elegante teatro ottocentesco di Bevagna, luogo ideale per ascoltare le meravigliose pagine scelte dal Duo per questo concerto. Il Duo Bidoli-Canino formatosi nel 2013 e che ha all’attivo l’incisione discografica di cinque album, offrirà al pubblico un percorso cronologico attraverso brani virtuosistici di diverse epoche, dal Settecento al Novecento, un programma di grande difficoltà tecnica e di intenso impatto emotivo.
Il concerto si apre con la Sonata in sol denominata Il trillo del diavolo del musicista barocco Giuseppe Tartini (1692-1770), proposta nella revisione di Fritz Kreisler. Famosa per la bellezza semplice e commovente della melodia che si alterna alla difficoltà estrema dei passaggi violinistici, questa Sonata deve la sua popolarità anche alla leggenda legata alla genesi dell’opera. Si narra che l’ispirazione sia arrivata una notte del 1713 quando il diavolo in persona apparve nei sogni di Tartini suonando un brano di una bellezza che impressionò il compositore: una musica “così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al paragone”.
La seconda opera in programma è la celebre Sonata in la maggiore op. 47 “A Kreutzer”di L. van Beethoven (1770-1827). Composta tra il 1802 e il 1803 in un periodo di grandi sperimentazioni e cambiamenti stilistici, questa Sonata, sia per dimensioni che per scrittura, supera il tradizionale contesto salottiero per approdare ad un vero e proprio stile concertistico. La Sonata op. 47 è la nona delle dieci sonate per pianoforte e violino scritte da Beethoven ed è la più lunga e la più complessa. Una Sonata che richiede una grande coesione tra i musicisti che non devono mai sovrastarsi ma dialogare costantemente tra tensioni e distensioni, passaggi delicati e cantabili e scariche appassionate ed impetuose. Rodolphe Kreutzer, il violinista a cui è dedicata, non la suonò mai giudicandola “scandalosamente incomprensibile”. Nonostante l’iniziale smarrimento provocato da un lavoro particolarmente audace per le orecchie del pubblico di allora, la Sonata venne poi considerata un capolavoro del genio di Bonn entrando nel repertorio di tutti i grandi violinisti già a partire da metà Ottocento. Lo scrittore russo Lev Tolstoy rimase così colpito dall’ascolto da farne il centro del suo romanzo breve, pubblicato nel 1888, intitolato “La Sonata a Kreutzer”. Il protagonista si macchia del terribile uxoricidio, geloso della profonda complicità che si crea tra la moglie pianista e il violinista con cui suonava la Sonata beethoveniana.
Arriviamo nel pieno Romanticismo con il compositore polacco Henryk Wieniawski (1835-1880) e la sua Polonaise brillante in la maggiore op.21. Scritta nel 1870 in due versioni -violino e pianoforte, violino e orchestra- venne eseguita per la prima volta nella versione orchestrale a San Pietroburgo e in Duo a Varsavia. In entrambi casi il violino solista era Wieniawski stesso, che oltre ad essere compositore fu un grandissimo violinista. La Polonaise riscosse subito grande successo e da allora è entrata nel repertorio virtuosistico dei violinisti; nonostante il peculiare virtuosismo del violino, l’aspetto tecnico non risulta mai fine a se stesso, come mera ostentazione di bravura, ma piegato piuttosto alle esigenze espressive.
Il concerto si chiude con la rapsodia da concerto Tzigane, scritta nel 1924 dal compositore francese Maurice Ravel (1875-1937) che la definiva “un pezzo virtuosistico nel gusto di una rapsodia ungherese”. In questo lavoro Ravel ha ripreso il materiale folkloristico e con sapiente eleganza lo ha variato attraverso uno stile improvvisativo che rimanda a quello dei violinisti tzigani ungheresi. Scritto inizialmente per un pianoforte ibrido, chiamato lutheal, in grado di riprodurre suoni simili al cimbalom ungherese, il brano viene abitualmente suonato con un pianoforte tradizionale. Il violino, che ha la parte principale, di estrema difficoltà, dopo la lenta ed espressiva sezione iniziale, lascia spazio al pianoforte che prepara la seconda parte del brano; da qui le melodie si fanno più ritmate e sempre più veloci in un crescendo che conduce allo scoppiettante e travolgente finale.
Stefania Cruciani