Il drammatico declino dell’economia umbra negli ultimi venti anni

PERUGIA – L’arrivo del Covid 19, nel 2020, ha colpito l’Umbria in tutti i suoi settori. Se in alcuni casi (edilizia e agricoltura) si stavano vedendo timidi segnali di ripresa, in altri la situazione non era certo florida. La situazione pre-Covid consentiva un moderato ottimismo basato su alcuni indicatori: il Pil era leggermente aumentato dall’anno precedente, la redditività e la liquidità si erano mantenute su livelli ancora elevati, contenendo la domanda di credito delle imprese. L’occupazione era cresciuta in misura robusta. L’incremento aveva riguardato soprattutto il lavoro dipendente a tempo indeterminato, favorito dalle trasformazioni dei rapporti a termine (Banca d’Italia, L’economia dell’Umbria, “Economie regionali” n. 10, giugno 2020).

Sarebbe però sbagliato considerare la pandemia come causa principale del declino economico umbro, che ha origini ben più lontane; occorre non guardare solo il breve periodo (per esempio il solo 2019, anno pre-Covid, rispetto al 2020). L’analisi della Banca d’Italia è chiarissima: “All’inizio degli anni Duemila l’Umbria si collocava in un gruppo di regioni europee con un Pil pro capite ampiamente superiore alla media dell’Unione europea. La caduta dell’attività economica nella lunga fase recessiva, molto più intensa rispetto alle aree di confronto, e il più lento recupero degli ultimi anni ne hanno determinato un declino del posizionamento nel contesto europeo. Sull’andamento dell’economia regionale hanno inciso le forti debolezze strutturali del tessuto economico, riconducibili principalmente alla bassa produttività dei fattori, che potranno verosimilmente essere da freno alla ripresa dell’attività nella fase di uscita dalla crisi indotta dall’epidemia”.

La figura che segue rappresenta bene questo trend negativo.

 

 

La figura può apparire complicata; leggiamola assieme. La parte di sinistra riguarda l’andamento del PIL negli anni 2001-2007 (prima della grande crisi finanziaria del 2007-2008), 2008-2014 (sostanzialmente anni della crisi) e 2015-2017 (ripresa); ogni coppia di figurine compara, in quegli anni, la situazione umbra con quella di un gruppo di regioni europee simili strutturalmente all’Umbria. È facile vedere, anche a colpo d’occhio, che non solo il Pil (il piccolo quadratino bianco entro le figure) sia sempre più basso in Umbria, ma che negli anni della crisi l’Umbria ha subito un colpo straordinario solo parzialmente recuperato negli anni post-crisi e ora nuovamente messo in discussione dalla pandemia.

Ma la figura di destra è ancor più significativa perché anziché il molto generico concetto di Pil tratta della produttività oraria; si vede assai bene che la produttività oraria del lavoro in Umbria è sempre stata infima in valori assoluti (oltre che incomparabile con le regioni europee prese come paragone).

La scarsa incidenza del fattore lavoro in Umbria (che ovviamente si riflette su altri indicatori, come il Pil) è dovuta – secondo Banca d’Italia) a due fattori principali: il massiccio ricorso a forme di lavoro a tempo parziale e la diffusa inoccupazione giovanile.

Il risultato finale è il seguente: se il Pil pro capite umbro nel 2000 era pari al 119% della media dell’Unione Europea, nel 2017 il valore regionale era sceso ben all’83%. La flessione di un terzo circa dei valori del 2000, nell’arco di tempo di nemmeno un ventennio, ha qualcosa di impressionante.

Un report dell’Ires-Cgil dell’Umbria, dell’agosto 2020, parla dell’Umbria come di un “malato grave”; la crisi investe molteplici settori storici della Regione: tessile, abbigliamento, metallurgia, abitazioni, ristorazione e attività culturali, con una contrazione dell’occupazione che nella sola provincia perugina era (ricordiamo, all’agosto 2020) del 28%, invertendo una tendenza positiva dell’anno precedente.

In conclusione: l’economia umbra, complessivamente intesa, era gravemente compromessa prima della crisi Covid 19, malgrado alcuni timidissimi segnali positivi che non hanno potuto consolidarsi. Evidentemente la pandemia andrà a incidere pesantemente sulla nostra regione – assai più che in altre – proprio per le sue debolezze strutturali. Nel ventennio degli anni Duemila la regione ha perduto aziende, imprenditorialità, strumenti economici, qualifiche professionali e, conseguentemente, ricchezza, redditività, occupazione qualificata.

Come sempre, la ripresa non può che avvenire a partire dai dati, e dalla ragione, da analizzare chiaramente, del perché di un declino così rapido ed evidente. E questa riflessione va fatta ora, ora che la pandemia (con la sua sciagura in termini sanitari) ci consegna la possibilità di impiegare fondi straordinari per interventi strutturali.

Claudio Bezzi

 

Redazione Vivo Umbria: