PERUGIA – Quello che sta accadendo in Afghanistan non può e non deve lasciarci indifferenti. In Umbria sono attualmente registrati oltre 235 afghani. In Italia sono circa 11.121.
Arrivano notizie agghiaccianti, violente, frammentate. Come le percepiscono le persone che vivono qui? Quali sono le paure, le preoccupazioni e le speranze?
Chi scrive lavora per un progetto Sai del Comune di Perugia, per la Cooperativa Sociale Perusia Onlus, insegna l’italiano L2 a beneficiari provenienti da varie nazioni tra cui: Afghanistan, Pakistan, Nigeria, Mali, Bangladesh, Costa D’Avorio. Gli sbarchi, dopo una tregua registrata tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, stanno aumentando. A breve arriveranno nelle nostre città e sulle nostre coste tantissimi afghani. Vivere a contatto con giovani adulti stranieri è un privilegio e offre l’opportunità di capire emozioni ed esperienze di vita che per noi spesso sono inimmaginabili.
In classe si parla spesso di attualità e da giorni affrontiamo insieme i fatti di cronaca che si stanno verificando. In Afghanistan si sono infrante le speranze di ritornare a una vita normale. Solo pochi anni fa riaprivano i negozi di fotografi, i cinema, si sentiva suonare la musica per strada a Kabul, dopo che per anni i talebani l’avevano proibito, si poteva tornare a sorridere per le strade, perché anche quello era vietato. Si viveva in un incubo medievale che purtroppo, negli ultimi giorni è ritornato con estrema violenza. Si è tornati a rivivere condizioni atroci di proibizionismo. E chi ne sta pagando le conseguenze?
Prima di tutto le donne. E in una società che mortifica le donne, tutto crolla. Lo vediamo dalle immagini mostruose che ci arrivano da una Kabul dove sono tornati i talebani, in un incubo che forse peggiore di quello di 20 anni fa, sono cominciati i rastrellamenti in giro per le case alla ricerca di chi ha collaborato con gli alleati che per 20 anni hanno provato a riportare la democrazia.
Ecco la voce di tre ragazzi, che per questioni di rispetto e privacy non saranno chiamati per nome, ma solo con le iniziali.
F: “Sono pieno di rabbia e tristezza. Ho saputo che i talebani hanno fatto irruzione a casa mia, hanno preso tutto, so che mia madre è riuscita a scappare insieme al mio fratellino. Adesso non ho idea di dove possano essere. Le comunicazioni sono interrotte. Nei giorni scorsi sono riuscito a parlare con uno zio, è lui che mi ha detto che mia madre è salva. Il silenzio, dopo quell’ultima chiamata, però, mi sta lacerando”.
W: “Mi sento impotente. Ho l’istinto di tornare nel mio Paese, ma so che non posso. Mi ucciderebbero subito. Vorrei andare ad aiutare le persone in pericolo, le donne, i bambini. Ogni tanto mi arrivano video e fotografie sul cellulare. Non riconosco più la mia terra, non riconosco le strade, non riconosco i paesaggi. Vedo solo cattiveria, sangue, dolore. Allargo le immagini sul cellulare nella speranza di vedere volti amici, persone che conosco. L’unica preghiera è che possano salvarsi. Non è stato facile per me venire in Italia, ed ora non è facile vedere quello che sta succedendo. Non si può accettare”.
H: “La distanza amplifica il dolore. Sono preoccupato per il mio Paese, sono preoccupato per mia madre, le mie sorelle e i miei fratelli. Non meritiamo la brutalità dei talebani. Sono stati veloci ad invadere Kabul, adesso stanno andando pure nelle altre città, nei villaggi, nelle periferie. Io vengo da una cittadina in cui c’è sempre stata tensione, ma adesso è tutto peggiorato. So che il mio popolo è forte, io qui, adesso, in Italia, mi sento debole”.
Queste tre testimonianze accendono i riflettori sull’interiorità di ogni afghano in Italia, in Umbria. Sui social girano immagini di donne coraggiose che per strada protestano con cartelli, che dipingono murales, che vogliono pacificamente combattere la violenza. Nella fotogallery e nel video, dopo il filmato shock di un’esecuzione, seguono le opere d’arte di Ommolbahni Hassani detta Shamsia (1988 /…): graffiatrice afgana e professoressa di scultura all’Università di Kabul. Popularizza la street art per le strade di Kabul. Non si hanno notizie di lei in questi giorni, la speranza è che non si trovi più a Kabul. Hassani dipinge graffiti per sensibilizzare il pubblico sugli anni di guerra. Come lei molte donne e molti uomini stanno provando a resistere. Oggi, l’obiettivo, è dare voce a chi non ne ha, sperando in prese di posizioni politiche risolutive. Non possiamo rimanere indifferenti e nel nostro piccolo possiamo accogliere, tentare di capire, ascoltare.
Floriana Lenti