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I racconti brevi di Carlo Favetti: “Villa Borghese”

Ecco un altro racconto breve di Carlo Favetti per i lettori di vivoumbria.it che vorranno leggerlo ancora in ferie o…già di ritorno al lavoro.

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Villa Borghese

di Carlo Favetti

In via del Babuino quel venerdì di metà maggio, vernissage della mostra all’ Attico “Esse Arte” su Mario Sironi. Avevo il biglietto di invito, non volevo perderla, su quel maestro del futurismo e le sue opere. L’evento di grande importanza culturale, si teneva dopo tanti anni dalla prima e andava ad inserirsi in un contesto, sempre a valenza artistica, promossa dal comune e che coinvolgeva altre realtà della città come piazze, chiese e parchi. Al vernissage andai con due amici militari Antonio e Pietro di Frosinone però, dopo una mezz’oretta loro abbandonarono, in quanto non erano propensi a questo genere di iniziative, (secondo loro erano noiose), preferirono andare in giro per la città in cerca di ragazze.

La mostra raccoglieva alcune opere tra le più importanti dell’artista, come Il ciclista, the Lamp, Urban Landscope ecc. Mi promisi però, che in seguito sarei ritornato e visitato l’esposizione più accuratamente, visto che la mostra era aperta al pubblico per tutta l’estate. Non persi l’occasione di partecipare ad altri  eventi molto significativi, tra l’altro, quello previsto a villa Borghese dove era in programma un rievocazione storica ambientata nell’ antica Roma dedicata alle divinità del bosco Pan, Dionisio, Satiro, ecc insomma una serie di iniziative che coinvolgevano anche attori della scuola di Giggi Proietti, vari istituti scolastici della città con esibizioni musicali, canore, letterarie e di costume. Tutto iniziava alle 18 ossia all’ imbrunire per dare luogo alla spettacolarizzazione della performance degli attori con fiaccole, fuochi, ed effetti speciali. Accedo a villa Borghese, mi dirigo al Parco dei Daini, ma gli spettacoli si tenevano in uno spazio  vicino al tempio di Esculapio, quindi torno indietro e finalmente raggiungo il luogo deputato alla manifestazione. C’era molta gente, chi in piedi, chi seduta su transenne e altri per terra sul prato. Iniziava a scendere la sera, le fiaccole cominciavano a dare vita ad uno degli spettacoli che non dimenticherò mai più. Il soggetto era mitologico, gli attori recitavano Catullo, Seneca, Aristotele. Mentre ascoltavo, ripassavano nella mia mente ricordi scolastici che non si erano mai assopiti. E così, ad un tratto, esce da dietro la colonna del tempio di Esculapio  un giovane con la cetra in mano, dai capelli tutti d’oro, il volto tinto di una tonalità giallo chiarissimo, un gonnellino d’oro, sandali d’oro, una specie di faretra a tracolla, mentre in sottofondo un melodioso suono di flauto, così inizia a  declamare: Se tre baci nel mondo aver tu puoi/o bel garzon, vendi Catullo e i suoi. Perché codesta tua rosea boccuccia bianca/o Gellio tu hai più della neve/quando al mattino o a sera esci di cuccia/dopo lungo riposo in di non breve? come! fra tanta gente un uom galante/non v’è, o Giovenzio di cui porti amante, fuori di costui, che su la grinta/ brutta ha di Pisauro la malaria tutta/e qual dorata statua il viso ha giallo? E a me il proponi? E l’ ami? O il tuo gran fallo?  Si abbassarono le luci la scena proseguì con un balletto di menadi. Il giovane declamatore di Catullo mi riconobbe tra il pubblico, mi guardava, io guardavo quel corpo stupendo che durante la recitazione si muoveva e si agitava con modo gentile e sobrio. Lo riconobbi subito era Claudio anche perché nelle menadi danzanti riconobbi la sua ragazza e Laura. Sorrisi a Claudio lui contraccambiò dandosi un piccolo morso sulle labbra. Si concluse lo spettacolo tardi, dopo altre esibizioni di giovani attori, musicisti e ballerine. Era pronto, al Parco dei Daini  un piccolo buffet con sangria, tramezzini e dolci. Claudio viene verso di me con due bicchieri di sangria:” allora ti e’ piaciuto lo spettacolo? Non ci arrestare però – e scoppia a ridere – Catullo e’ stato sempre il mio autore preferito – si avvicina al mio orecchio e sussurra – era uno sporcaccione, ne ho studiate molte di opere di questo autore a memoria”. Guardavo Claudio attore in silenzio e rimanevo affascinato da quel personaggio. Non sembrava lui, era una divinità: “perché non mi hai detto che sapevi recitare e questa sera c’era la tua esibizione in villa?”. Lui, mentre il trucco cominciava a sciogliersi dal viso e a piccole gocce cadeva sul dorso, mi rispose “credevo che dopo quella sera al Campidoglio non ci saremo visti più”. Stava seduto su un rocchio di colonna romana, sullo sfondo si intravedevano rami verdi di un salice piangente, una immagine mitologica, ma viva, palpitante. Il parco si stava svuotando. Lui va verso il gruppo, abbraccia Laura vestita da menade, la ragazza e gli altri, poi torna verso me. La sangria iniziava a fare effetto. Tira fuori dalla faretra cartine e tabacco e rulla una sigaretta. Era passata mezzanotte, si spensero i fari e lampioni, il parco chiudeva e tutto  rimase al buio. Iniziava il giro di ispezione della vigilanza. Mi alzai dalla panchina e cerco ripetutamente il mio giubbino ma non lo trovavo, era troppo buio; sento all’ improvviso una mano che mi blocca dalle spalle, ebbi quasi paura:” tieni, fatti un tiro, vuoi andare già via? Non si sta bene qui? Senti che pace, dai fatti un altro tiro e beviamoci sopra la sangria non possiamo buttarla”. Non sapevo che fare, dovevo andare via da lì, dovevo uscire, non potevo farmi sorprendere nel parco a quell’ora con quel ragazzo vestito (per modo di dire),  in quelle condizioni. Sentivo passi dietro me, nel buio pesto, e quella voce che continuava a recitare Catullo:“…qual dorata statua ha il viso giallo? e a me il proponi? E l’ ami? O il tuo gran fallo? Che ne dici chiudere con questo”. Cadde il  vestito d’oro a terra così nel buio cadde ogni decenza.

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