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I racconti brevi di Carlo Favetti: “Quel ragazzo con il cesto della frutta”

L’estate sta finendo ma c’è ancora tempo, per chi vorrà leggerlo, per un altro racconto breve di Carlo Favetti.
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Quel ragazzo col cesto della frutta
di Carlo Favetti
In via della pelliccia a Trastevere, un angolo di mondo stupendo, me se stavo seduto fuori dal bar aspettando Matteo che andava in libera uscita e dovevamo cenare insieme. Mancavano pochi giorni al suo congedo e la tensione tra di noi cominciava a salire. A Matteo dispiaceva molto lasciare Roma e le amicizie, i suoi commilitoni e i tanti bei luoghi della città dove abbiamo trascorso giornate bellissime insieme  con i nostri 19 anni lui marinaio e io carabiniere:” è molto che aspetti? Ecco mi sono liberato poco fa, non erano pronti i permessi. Oggi è stata un giornata faticosa, abbiamo fatto le prove per la cerimonia dell’ ambasciatore e sono distrutto. Dove andiamo a cena? Ho una fame da lupo. Poi vorrei parlarti un po’, mancano pochi giorni e io mi sento morire di lasciare tutto qui. Vorrei organizzare un paio di giorni in libertà, gli ultimi due che mi rimangono. Te puoi recuperare una piccola licenza breve? C’è la farai? Ti riesce magari corrompere qualcuno?”. Percorso piazza Santa Maria in Trastevere, via San Callisto, entriamo da Nannarella. “Se prendo una licenza breve ora probabile che me la scalano in quella del concedo e per questo non ci sarebbero difficoltà. Ma il problema è se il mio capitano me la firma, questi giorni ha pure problemi ai denti e sta cattivissimo. Poi con tutti questi casini che ci sono, brigate rosse, brigate nere, bombe sui treni, alle stazioni,  non so fino a che punto mi lascerà. Ci proverò vedremo”.
Una carbonara appetitosa me la divorai in un secondo e Matteo la sua bella Lasagna. “Avevo pensato di trascorrere questi due giorni che mi sono rimasti al parco dell’ Aniene, mi hanno detto i miei commilitoni che è bellissimo, c’è  anche un camping, si può fare il bagno e anche escursioni con la pesca.  Se vuoi, per te c’è anche un area adibita a  tiro a piattello visto che hai la pistola di ordinanza”.
Non risposi, pensai che il parco dell’ Aniene, sarebbe stato bello se non fosse pieno di baracche e baraccati insomma… fatiscente e poco sicuro. Un paio di volte sono stati eseguiti anche sgombri da parte dei colleghi. “Andiamo in un altro posto visto che sono due giorni, magari a Tarquinia, sui colli Albani, o addirittura ad Ostia. In un posto calmo per stare rilassati e liberi da ogni preoccupazione. Altrimenti rimaniamo a Roma, possiamo prendere una suite al centro e penso che sia la migliore soluzione”.
Si avvicina a noi un ragazzino con un cesto di pesche, ce ne offre una, ci invita a mangiarla e poi ci chiede se potevamo comprarne un po’. Matteo apre il portafogli e gli regala cinquemila lire, e gli chiede però di sparire di corsa. Il ragazzino guarda i soldi, guarda me, meravigliato va verso Matteo, lo abbraccia stretto stretto al collo e lo bacia ripetutamente su tutto il volto. Matteo rimane immobile, paralizzato senza parole, quasi privo di sensi, non si aspettava un gesto del genere, ma cinquemila lire, a quel ragazzino erano sembrate tante, quindi la reazione era giusta secondo lui. Insomma passato quell’ episodio di esternazione affettiva, la nostra discussione sul da farsi continuò tra un mezzo abbacchio al forno con patate e un bel fiasco di rosso dei colli romani. Fu bocciata quindi per motivi di sicurezza la proposta di trascorrere i due giorni prima del congedo di Matteo al parco dell’ Aniene.
“No, no, che suite a me piace stare in mezzo alla natura ti ricordi sulle tue montagne ad Aspra con la canadese? Bellissimo! e quanto mai potrò rifare una esperienza così. Questo vinello è buonissimo. Anzi vorrei dirti una cosa, posso baciarti? ora qui davanti a tutti? Non chiedo tanto, esaudisci questa richiesta – e si mette a ridere – a un povero marinaio in congedo”. Ma guardandomi attorno, anche se non  c’era tanta gente in sala, e nessuno che conoscevo, non lo permisi. Mi limitai a dire forse più tardi, prima di rientrare. Uscimmo da Nannarella e ci incamminammo verso Ponte Sant’ Angelo. Lungo il tragitto Matteo continuava a dirmi come potevamo organizzarci per trascorrere quei suoi due ultimi giorni rimasti. Non decidemmo nulla, l’appuntamento era per l’indomani pomeriggio, per il tè delle 17 alla Casina Valadier, dove, nel parco,  era in programma un momento musicale di ottoni del Santa Cecilia, con un  concertino di musica classica, per violini e ottoni. Accompagnai Matteo fino
all’ ingresso della sua caserma:” non ti avvicinare – voleva salutarmi con un abbraccio – non farlo ci osservano dalla caritta i tuoi colleghi, non li vedi? Sei scemo”.
Rimase turbato Matteo alle mie parole, e aggiunse: “A me cosa interessa del loro giudizio tanto tra quattro giorni me ne vado”.
Rientro di corsa su per le scalette, sul portone si giro’ salutando. Si era creato un grosso problema, Matteo stava proprio fuori di testa, stava vivendo una bella storia basata su una affettuosa amicizia, secondo lui però, visto che questa scoperta, era di soli due mesi e non riusciva ancora a mettere a fuoco quello che gli stava succedendo. Lui a differenza di Marco, di Claudio, di Francesco e così via, era più sensibile, vulnerabile. E poi, insieme, da quella notte trascorsa in tenda ad Aspra, abbiamo avuto pochissimi incontri, quindi non ha potuto verificare il suo stato, anche perché si era lasciato con la sua ragazza da pochissimo tempo. Questi due giorni, ai quali lui teneva molto, credo che servissero come un momento per capire di se molte cose. Scendo dal pullman a piazza Vescovio . Erano le 23,30 mancava ancora una mezz’oretta per il rientro. Mi fermo al bar rosticceria per bere una gassosa. Ed ecco di nuovo il ragazzo con il cesto della frutta (al quale Matteo, al ristorante da Nannarella a Trastevere aveva regalato 500 lire), come mi vede, si mette seduto all’ estremità del tavolo e mi fissa. Avevo un attimo di amnesia, ma guardandolo bene, quel volto di ragazzo io lo avevo visto in qualche parte, oltre a quella sera, ma non ricordavo dove. Un’immagine eterea, sotto la luce del lampione, che creava sul suo viso leggere ombre. Si si l’ ho visto alla Galleria Borghese, era il dipinto di Caravaggio: fanciullo con il canestra  di frutta, ecco dove. Infatti c’ era una forte somiglianza. Questo giovane era anche lui paffutello, capelli neri folti e un po’ trasandati, una camicia chiara aperta sul petto e sulle spalle. E poi la canestra, quasi uguale a quella del dipinto con dentro pesche, mele, uva con gli acini grandi. Mi avvicino sempre di piu’, piano piano, il fanciullo stacco’ alcuni acini di uva dal grappolo e se li portava uno ad uno in bocca, passandoli tra i denti da una parte all’altra, poi prese una pesca, la spacco’ in due con le mani, tolse accuratamente il nocciolo interno con  l’indice, se ne porto’ mezza in bocca e inizio’ a strappare quella polpa carnosa a leggeri morsi. Guardai attentamente  quella scena, dava un senso di surreale. Era impossibile che quel fanciullo lì con tutta quella roba, che sedeva all’ estremità del tavolo era la personificazione reale del dipinto del Merisi. Era impossibile che era quell’ olio su tela realizzato tra il 1593 e 1594 ed esposto alla galleria Borghese!. Cosa avrebbe significato quella scena per me in quella notte… C’era una analogia forse con gli eventi che si stavano maturando con Matteo? Non lo so e non lo capii mai. Sapevo però che Caravaggio, con quella tela, dimostrò di saper indagare il dato naturale con una profonda capacità di mimesi, priva di interpretazioni estetizzanti. Quel dipinto, rappresenta una prova mirabile del vero, come quella scena che stava consumandosi di fronte a me. Il rumore della serranda della rosticceria mi fece ritornare alla realtà, mi alzo, entro, vado a pagare la gassosa, saluto la proprietaria che conoscevo da diversi mesi, poi riesco; il ragazzo con la canestra di frutta era sparito, vedo però, con mia grande meraviglia che dalla parte dove prima ero seduto io, sopra al tavolo, lui aveva lasciato il nocciolo della sua pesca.

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