I racconti brevi di Carlo Favetti: “Edipo Re a Trevi”

Nuovo racconto di Carlo Favetti da leggere, chi vorrà, in questa estate torrida per allietare chi sta sotto l’ombrellone o al fresco della montagna ma anche per chi se ne sta in poltrona col ventilatore-condizionatore acceso.

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Edipo Re a Trevi

 di Carlo Favetti

 

Non fu amore non lo fu mai, è una parola troppo grande per me. Non è stato amore quello che ho provato in tutte queste storie vissute con chicchessia. Potrei dire che sono stato bene, insieme, in amicizia, tutto qui, ma nulla più. Ogni storia ha uno strano inizio, ma anche un finale sorprendente a volte simpatico, a volte strappalacrime ma a volte così semplice, umano, un po’ carino, privo di colpi di scena, anche con emozioni violente. No! non ho il cuore duro, no no, qui in questo tempo di Roma ho imparato semplicemente a vivere l’ amore come un gioco, se lo segui su una scacchiera in modo intelligente te, sicuramente,  farai sempre scacco matto sull’avversario. E così anche quella sera, me ne andai da solo lungo il Tevere, con la luna piena di fine agosto, passando per ponte Sant’ Angelo. Feci le scalette e scesi sul marciapiede che delimita il letto del fiume, svelto, rapidissimo come un licantropo in cerca di acqua per placare il fuoco dell’arsura. Mi bloccai davanti un narciso in fiore attaccato al muro, feci strage di quel suo miserevole profumo, me ne saziai del corpo e dell’ anima.  Lo presi, lo strappai dolcemente da quel lembo di terra dove già crebbe in quei pochissimi attimi, fino alla fine, finché con caddero i suoi delicati petali cremisi. Risalii le scale e tornai nella realtà di quella notte strana seppur romana, quasi addormentata; tra i lampioni accesi un po’ di nebbia saliva sottile e fragile dal fiume, che pareva dare quel senso di lugubre, fin su gli sguardi bianchicci degli angeli tutt’intorno al Castello: un cimitero monumentale. E lì, ammucchiato sotto l’ ultimo pilastro del ponte, tra un cumulo di stracci e della frutta che fuoriusciva da un contenitore di plastica, un cane, gli dormiva ai piedi, l’ ultimo e unico fedele amico del barbone. Continuai in quel mio solitario camminare, continuai fino a Trevi. Scesi le due scalette, mi misi seduto sul sedile di pietra tiepido dell’ afoso giorno. Finalmente  ammirai da solo quella immensità di arte dell’ acqua, fredda anch’ essa come una tomba. Poco più la, alle due di notte, seduto sulla ringhiera di ferro un ragazzo, ammira la fontana, poi si guarda attorno, inizia a spogliarsi lentamente, come se dal monumento avesse ricevuto un invito ad entrare. Nudo scavalca il bordo della vasca, con passo leggero, cammina fino al getto soave dell’acqua, si gira, guarda di nuovo attorno, ma non c’era nessuno a guardarlo e disturbarlo. Inizio’ uno spettacolo assurdo, si dimenava nell’acqua, volteggiava. All’ improvviso apparvero, altri due ragazzi, si tolsero tutto addosso, anche loro si gettarono nella vasca, nuotavano come delfini,  belli, agili, eleganti nel muoversi. Allora presero vita ai miei occhi quelle figure che vidi stampate sulle pagine del mio primo libro di storia dell’ arte G.C. Argan, dipinti nel palazzo della regina a knosso di Creta: Il ragazzo con i delfini. Mi nascosi all’angolo di via della Stamperia, quasi al buio, senza farmi notare. E allora prese il via quella scena reale dal sapore surreale, che mi precipitò indietro nei secoli.
Il primo ragazzo che entrò in acqua era arrivato pian pianino fino ai piedi della statua rappresentante il dio Oceano, mentre gli altri due a sinistra e destra si misero in groppa ai due cavalli alati posti ai suoi piedi. E così inizio’ quello spettacolo unico, nel suo genere, riconobbi il primo passo dell’ opera del grande Sofocle: “Figli, prole novella dell’ antico Cadmo, perché sedete qui avanti incoronati di rametti supplici? È  tutta piena la città di fumi d’ incenso e insieme di Peoni e gemiti. Ho voluto ascoltarli senza tramiti figli: perciò sono venuto qua io quell’ Edipo a tutti così noto. Poveri figli miei non certo ignoti, bene noto m’è ciò che siete venuti a chiedere: lo so che siete infetti tutti dal morbo, e infetti come siete … Non c’ è nessun infetto quanto ma perché il vostro dolore tocca i singoli ciascuno e nessuno altro mentre l’anima mia piange la città, piange me stesso e voi”.
Poi si alza dal cavallo alato di destra l’ altro giovane che dal parlare doveva essere Creonte: “Riferirò ciò che ho udito dal dio, Febo ci ingiunge apertamente questo: il miasma è nutrito in questa terra: si cacci per non renderlo insanabile. L’ ordine è chiaro di punire i rei di questa morte quali ch’essi siano”.
Riprese la parola Edipo dall’ alto di Oceano:”E dove stanno? Dove mai trascorre quest’ ardua traccia di un delitto antico?”. Prese la parola l’altro ragazzo, alla sua sinistra: “In questa terra dice che chi cerca trova, ma ciò che si trascura fugge”.
Riprese la parola Edipo: “Ma io da capo svelerò la cosa. Febo con il suo prestigio e tu cosa proponete il problema dell’ uccisione così anche me vedrete con giustizia alleato nel fare la vendetta a questa terra e in pari tempo al dio. Non lo farò per amici remoti: io per me stesso quest’ impurità disperderò”.
Uno spettacolo unico alle due e mezzo di notte,  coloro che affacciatosi dalle finestre degli alberghi e degli  hotel applaudirono con un grande boato addirittura con il bis. Ma tutto quello che di bello godetti io e gli altri fini con l’ arrivo della municipale che acchiappo’ i tre attori dell’ Accademia  multandoli pesantemente. Non furono buone le ragioni dell’ arte e della tolleranza; nella fontana di Trevi né bagno né recitazione e’ proibito fare. Li vidi tutti e tre rivestirsi piano piano, con garbo e gentilezza come fanno i delfini, nel greco mare egeo
Redazione Vivo Umbria: