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I bimbi degli anni Quaranta, il 25 Aprile, Covid-19 e la Liberazione che verrà

Ho avuto la fortuna di incontrare ad Arezzo, nella mia vita di giornalista, un autentico artigiano del mestiere: Romano Salvi. Al Corriere Aretino, dove per un periodo bellissimo della mia vita ho lavorato tanti anni fa, era capo servizio. Di quelli che entrava in redazione con umiltà, un pizzico di sana sofferenza critica rispetto a ciò che saremmo andati a raccontare sul giornale, rispettoso del lettore, politicamente consapevole di tutto e sufficientemente scorretto con i potenti quando ci voleva, conoscitore di calcio come pochi,  osservatore attento della sua gente, orgoglioso senza limiti della storia della sua aretinità. Ho assorbito tutto quello che potevo dal suo modo di vedere le cose, di scoprirle, di interpretarle, di soffrirle, talvolta. Sopra le sue stesse forze.
Ora ha inevitabilmente qualche anno in più rispetto ad allora ma un giornalista come lui non va mai in pensione. Lo sento di rado ma, sarà capitato anche a voi, con gli amici veri il tempo e lo spazio assumono valori molto relativi. Così, mi ha girato l’articolo che ha scritto per Arezzonotizie in occasione del 25 Aprile e, come sua abitudine, di molto altro a corredo. Ha tirato fuori, stavolta, una riflessione sui “bimbi degli anni ’40”. Tra questi, fra l’altro, c’è anche lui.
Insomma, c’è di che leggere, a mio avviso. Rigiro il suo articolo anche ai lettori di Vivo Umbria. Grazie Romano.

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I bimbi degli anni Quaranta

di Romano Salvi

Si erano affacciati alla vita sotto l’oppressione di Hitler e di Mussolini, e l’hanno lasciata sotto il segno di un acronimo impersonale, il Sars-Cov -2”. Sono le parole con le quali Antonio Scurati, grande giornalista e scrittore, introduce il suo articolo sul Corriere della Sera per un toccante ricordo dei “bambini degli anni quaranta”, falciati dal coronavirus. Una generazione che si è portata per sempre nell’animo, spesso anche nel corpo, il trauma di una guerra che ha fatto decine di milioni di morti, il trauma delle bombe, della fame, delle stragi e delle deportazioni dei nazisti. Uomini e donne che sono stati poi protagonisti della ricostruzione di un’Italia capace di rinascere dalle ceneri fino a riconquistare tra le grandi d’Europa una dignità distrutta dal fascismo.

Fino ad essere i protagonisti del boom economico italiano. Tanti di loro se ne sono andati nella strage del coronavirus. “Se ne vanno – scrive Scurati citando un appello che gira sul web – mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, sacrifici”. Ma fatta anche di tante delusioni per aver poi assistito ai tanti sprechi di quello che avevano costruito, al lento degradare degli ideali fondati sullo spartiacque del 25 aprile di 75 anni fa. Il giorno della Liberazione, che segnò la fine dei loro incubi di bambini nati sotto le bombe e che un’altra tragedia, questa volta non voluta dagli uomini ma dalla natura che ha presentato il conto delle tante violenze subite, 75 anni dopo li porta via in maniera perfino più subdola delle bombe e della fame. Il destino ha voluto che a pagare il conto sia toccato soprattutto ai “figli degli anni Quaranta” falciati a migliaia dal coronavirus. Più volte negli ultimi due mesi abbiamo sperato che la festa della fine di una apocalisse coincidesse anche con la fine di questa nuova tragedia. Il 25 aprile 2020 non è come avevamo sperato. Possiamo però festeggiarlo per i valori di quello di 75 anni fa uniti alla speranza e all’impegno di un nuovo mondo fondato anche sul significato che avremo il dovere di assegnare alla Liberazione da questa nuova tragedia. Di certo è quello che vorrebbero i bambini degli anni Quaranta sopravvissuti alle bombe e alla fame ma non al “nemico invisibile”.

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