MILANO – Si apre emblematicamente con immagini a spot di Donald Trump, neppure troppo velatamente per spiegare al pubblico il motivo per il quale torna sul palcoscenico “Hair”, il musical che dispensa pillole musicali di Peace and Love. Ben più di tamburi di guerra risuonano sul Pianeta ed è giusto richiamare l’umanità ad interrogarsi quando “la pace guiderà i pianeti e l’amore guiderà le stelle”…
Il Teatro della Luna a Milanofiori, ad Assago, ha accolto i primi spettacoli del musical “Hair” che ora approda a a Lugano, Bolzano, Bari e Torino. E’ la riproposizione fedele della produzione che tanto ha fatto parlare – sia in versione teatrale che cinematografica – a partire dal 1969: “Oggi, come allora, esistono ancora tanti Vietnam… e tanti giovani con la voglia di liberarsi dalla schiavitù commerciale della società” spiega il regista Simone Nardini, che ha pure firmato scenografia e costumi. Con l’Umbria in pole position in questa produzione targata Mts Entertainment in collaborazione con Compagnia della Rancia: “Hair the tribal love – rock musical” vede sul podio di direttore musicale la folignate Eleonora Beddini, compositrice e pianista di talento, con un lungo palmares di successi nonostante la sua giovane età. E dunque assistere allo spettacolo assicura un’emozione in più.
Amche perché la pelle d’oca arriva immediatamente, già al primo minuto di musical. In realtà già il prologo, quando cioè il pubblico arriva in sala e si accomoda al proprio posto, trova il sipario aperto e i protagonisti un po’ in sala e un po’ sul palco che introducono al tema portante: hippie, capelloni, abiti coloratissimi, sguardo perso nel vuoto. E sì, perché ci si sta catapuldando a fine Sessanta, quando in Vietnam impazza una guerra senza senso. Incomprensibile persino per chi è chiamato ad andare nel Sud-est asiatico a sparare a qualcuno o, peggio ancora, ad essere ucciso per un obiettivo fuori dal mondo. Con l’orchestra dal vivo magistralmente diretta da Eleonora Beddini (ben visibile al pubblico al suo posto, appena al di sotto del palco) e una cinquantina di cantanti-ballerini in palcoscenico (praticamente sempre, costruendo “scene di massa” di grande effetto) si comincia subito con l’esecuzione di “Aquarius”, il brano-alfiere del musical, al pari di “Let the sunshine in”: protagonisti sono quei giovani che nutrono grandi speranze nella nuova Era dell’Acquario, un’era di armonia, speranza, libertà e amore.
Quello che si vede al lavoro è un cast eterogeneo con giovani talenti e artisti di grande esperienza (scelti con cura dai creativi dopo audizioni e selezioni) che provengono dalle migliori scuole di musical e formazione in Italia. Musical supervisor è Stephen Alexander Lloyd, per le coreografie Valentina Bordi, disegno luci Valerio Tiberi, acting coach Michele Savoia. Nel cast artistico ci sono Stefano Limerutti (Claude), Gennaro Pelliccia (Berger), Vittoria Brescia (Sheila), David Marzi (Hud), Edoardo Franchetto (Woof), Alice Tombola (Ronnie), Jeanie: Sara Di Fazio (Jeanie), Matteo Minerva (Margaret Mead), Elga Martino (Crissy), Paolo Broscritto (Walter): nella tribe: Claudia Barelli, Matteo Cernuta, Valeria Citi, Luna Colavolpe, Valeria Della Valle, Mattia Epifani, Giulia Ferraro, Matteo Francia, Francesca Galeazzi, Fabio Lorenzatti, MitsioPaladino Florio, Monica Patino, Giampaolo Picucci, Gabriele Pierani, Silvia Pieroni, Cristiana Pigazzi, Dario Scaturro, Sara Sironi, Claudia Urselli, Marco Valentino, Silvia Vena.
“Hair, spettacolo cult fine anni ’60, è più che mai l’ideale manifesto delle nuove generazioni che cantano l’alba dell’era dell’Acquario – spiega ancora il regista Simone Nardini – il mio tributo vuole rendere omaggio all’opera-rock simbolo del pensiero hippie. In quegli anni si formavano gruppi di ragazzi e ragazze che trascorrevano il tempo senza inibizioni e accompagnavano la protesta contro le sofferenze della guerra con il grido di ‘sesso, droga e rock’n’roll’. Hair, the tribal love-rock musical, con il suo folto cast, le musiche eseguite dal vivo, le coinvolgenti coreografie, il libretto in italiano ma le canzoni in lingua originale e la trasgressione irriverente dei sui contenuti, coinvolgerà ancora le platee dopo oltre 50 anni dal suo debutto a Broadway”.
E come finisce? “Let the sunshine in” (“Fai entrare la luce del sole splendente”) è il brano conclusivo con cui il gruppo di giovani – impotente e dubbioso verso il destino – canta la sua denuncia nei confronti della guerra, chiedendo all’umanità di aprire i cuori e le anime alla forza del sole e della vita. Perché c’è speranza se si lascia entrare l’amore nel cuore e ci si rispetta.