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“Guerra e Pace” al Morlacchi, le battaglie vinte dal teatro

Contingenze e volontà. E’ la sintesi della prima nazionale di Guerra e Pace. Entrambi i concetti, infatti, entrano nella messinscena in una sequenza straordinaria di cronache che meritano di essere raccontate.

A iniziare dal finale che dice delle lacrime vere degli attori non dettate dal copione ma da una commozione irrefrenabile nel tornare a sentire il calore di un applauso dopo tanto forzato silenzio. E’ la consapevolezza che si è recuperato il proprio lavoro, che si respira la propria passione e che finalmente tutto, ora, si può condividere. Non era mai capitato, almeno a chi scrive, di poterle vedere, quelle lacrime vere, e sentirsele scorrere addosso; partecipe di uno stesso dramma che nulla ha a che fare con la messinscena.

 

Poi, le nostre cronache, ci portano all’inizio: teatro illuminato. Sembra un grande salone pronto ad accogliere la festa. Il direttore del Tsu Nino Marino saluta il pubblico e lo ringrazia per aver voluto condividere questa emozione. Poche parole, nelle quali sta la fatica di una “prima” caparbiamente voluta fino a riuscire a metterla in scena. Accanto a lui Ilaria Genatiempo parla a nome di tutta la Compagnia: esprime la piena consapevolezza del privilegio di poter essere sul palco e di lavorare anche se in condizioni difficili, e manifesta solidarietà a tutti quei colleghi che ancora non hanno potuto riprendere a farlo.

Contingenze. Come quella che riguarda la platea del Morlacchi. E’ vuota. Ci sono solo oggetti di scena. Nemmeno una poltrona. Il pubblico sta sui palchi. Questione di distanziamento. E, però, un’opportunità gigantesca: utilizzare lo spazio per l’intera scena. Dilatare il palcoscenico per accogliere i contenuti di un’opera immortale e enfatizzare le parole piene per la complessità di sentimenti che Lev Tolstoj porta in emersione partendo dal suo tempo e ficcarle potentemente nella complessità del vivere. Così che quei drammi del romanzo, anch’essi per contingenze, si riflettono nell’attualità di una tragedia pandemica che, come l’epopea Napoleonica, segna un passaggio epocale, globale e dal futuro imprevedibile.

Contingenze e volontà. Come quelle che hanno caratterizzato le prove di questa nuova e sontuosa produzione dello Stabile dell’Umbria resa possibile anche grazie al contributo della Fondazione Cucinelli. Iniziate nel settembre dello scorso anno, si sono protratte con l’intento di andare in scena il 28 ottobre. Poi la chiusura a 2 giorni dal debutto. Una vera mazzata. Nonostante ciò, il progetto è stato tenuto insieme dal direttore del Tsu che caparbiamente ha lavorato per metterla in scena. Così che le nostre cronaca possono entrare in ciò che è accaduto in questa prima. A cominciare dalla riscrittura di Letizia Russo. Non è mai semplice trasporre un romanzo per farne un copione. Operare su Guerra e Pace ha moltiplicato la complessità dell’operazione che, tra l’altro, richiede di concretizzarsi in due spettacoli distinti e autoconclusivi che però devono avere una loro continuità narrativa. La trasposizione è efficace, i dialoghi intensi, i particolari descrittivi utili alla messinscena. L’intensità letteraria e il lirismo dei monologhi intatti. Straordinaria la regia di Andrea Baracco che conferma la sua capacità di trovare soluzioni funzionali al testo ma allo stesso tempo geniali, sorprendenti, talvolta spiazzanti ma sempre posti con grande gusto e con un equilibrio che non vuole sopravanzare il contenuto, ma espanderlo nel destare emozioni. I fumi della battaglia, il fragore delle armi, i vessilli, le uniformi strappate invadono il campo scenico potenti. Poi la cornice si svuota isolando la narrazione in un eremo senza contesto. Gli attori si muovono presidiando con personalità ciò che eccezionalmente offre loro il Morlacchi sia nelle scene della guerra e del ballo, o riducendoli all’essenziale per focalizzare il punto luce sul dramma intimo che si va a consumare. In questo senso le luci di Simone De Angelis paiono un sapiente evidenziatore. Le scene e i costumi di Marta Crisolini Malatesta riportano il clima ottocentesco con sobrietà e attenzione ai particolari. D’effetto il commento di Giacomo Vezzani, duro nelle sonorità della battaglia, lirico nelle scene dove il personaggio è sopraffatto dalle sue solitudini.

In scena tutti protagonisti. Davvero: Giordano Agrusta, Caroline Baglioni, Carolina Balucani, Dario Cantarelli, Ilaria Genatiempo, Laurence Mazzoni, Woody Neri, Alessandro Pezzali, Emilia Scarpati Fanetti, Aleph Viola, Oskar Winiarski. Ciascuno di loro meriterebbe un commento a sé per la compenetrazione al testo e la rilettura magistrale che rende il turbinìo degli eventi, lo smarrimento per le trasformazioni sociali, fino alla travolgente furia della guerra senza scopo. Una sottolineatura per il bravissimo Stefano Fresi che indossa a perfezione i panni di Bezuchov facendoli trasudare di un’umanità disarmata e commovente. D’impatto la recitazione di Emiliano Masala che fa sue le inquietudini senza tempo di Andrej Bolkonsij; così come Lucia Lavia, la Natasa Rostova, bambina e adulta, con un complesso registro recitativo duale, paladina ante litteram dell’irrisolta questione femminile.

 Quando la scena finale viene presa dall’immensa luna che illumina il desiderio del volo,libero, dell’Uomo, ecco apparire la figura di Napoleone e l’ultima contingenza delle nostre cronache: il debutto (forzatamente rinviato) di Guerra e Pace cade a duecento anni dalla morte dell’Imperatore.

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