PERUGIA – La “Lunga storia” di classici che Gino Paoli ha intonato ieri al teatro Morlacchi in compagnia di Danilo Rea alternato a Rita Marcotulli al pianoforte, Ares Tavolazzi al contrabbasso, Alfredo Golino alla batteria e l’Orchestra da camera di Perugia diretta dal Maestro Marcello Sirignano, forse dimostra che l’era della canzone d’autore italiana è stata irripetibile, ma che forse tutto attualmente “rema” contro essa. Il legame che stringe Paoli a Perugia e a Umbria Jazz ne è in fin dei conti una dimostrazione, perché “qui – come dice Paoli – si respira aria di libertà. Il jazz – continua – è sinonimo di libertà e dato che per me la libertà è l’unica certezza che ho, rispetto a tutte le certezze che altri hanno (la mia libertà e il rispetto dell’altrui libertà) e dato che la libertà oggigiorno è molto offesa in generale, allora dove esiste per lo meno un’ansia di libertà come qui a Perugia, questo è certamente il mio posto”. E se alla libertà si associa l’idea che il baricentro della musica, anche di quella italiana, si è spostato da Sanremo a Perugia con Umbria Jazz, Gino Paoli ci sta, gli piace la prospettiva. O meglio “sarebbe bello – afferma – se veramente spostassimo tutto a Perugia. Direi che Sanremo è un po’ incancrenito in una sorta di schema abbastanza obsoleto, se non addirittura oggi è diventato soltanto una comodità per la televisione. Le canzoni sono soltanto una scusa. Se invece si potesse fare qualcosa per cui la canzone diventasse di nuovo protagonista, ben venga Perugia e la sua libertà”. Ottantacinque anni passati nella migliore espressione della musica italiana e con una passionaccia per il jazz che non si è mai del tutto sopita e che anzi negli ultimi anni si è rimanifestata prepotentemente, non bastano a dire che Paoli appartiene ormai al passato, così come Carlo Pagnotta, un anno in più di Paoli, non ha mai ceduto le armi e a dispetto dei suoi più acerrimi nemici e competitor che magari auspicherebbero una sua rapida “dipartita”, tiene durissimo e, fedele alla sua schiettezza, tra gesti apotropaici e scongiuri, guarda già al prossimo cinquantennale di Umbria Jazz, nel 2023, progettando sin da ora grandi cose. Sta di fatto che nel palmares dei direttori artistici dei festival jazz mondiali, Pagnotta è secondo soltanto al patron assoluto del Newport Jazz Festival, George Wein che ha tagliato l’invidiabile traguardo dei 94 anni. Per il momento insomma, Carlo Pagnotta con i suoi 86 anni si deve contentare di un comunque onorevole posto d’onore, anche se l’augurio, naturalmente, è che possa battere ogni possibile record di longevità. E a proposito di Festival jazz internazionali, tra gli ospiti illustri di Umbria Jazz, appare anche André Ménard, cofondatore del Montreal Jazz Festival, la manifestazione jazz più grande al mondo. “E’ già la quinta volta che vengo a Umbria Jazz – ha detto – e la trovo fantastica. Nel tempo ho notato notevoli cambiamenti e tutti in positivo”. Intanto ieri sera al main stage dell’arena si è celebrato un tributo alla migliore tradizione mainstream del jazz con due voci molto diverse tra loro, quella del crooner Allan Harris e quella di Diana Krall in un quintetto stellare in cui appaiono tra gli altri il chitarrista Marc Ribot e il sassofonista Joe Lovano. E questa sera sarà la volta di Paolo Conte, l’uomo dei record che riempirà l’arena con un sold out già annunciato. In molti non hanno resistito al suo groove e al suo essere anti-divo.