FOLIGNO – George Tatge porta la sua “Italia metafisica” al Ciac di Foligno, con una sezione di scatti inediti dedicati alla città umbra. La mostra è stata inaugurata il 28 luglio e rimarrà aperta sino all’8 ottobre. Scrive George Tatge della sua fotografia: “La fotografia come metafora, questa è la mia passione”. Il titolo della mostra al Ciac (Centro italiano arte contemporanea) di Foligno, 66 immagini scattate in Italia in 40 anni, con un tributo di foto inedite realizzate a Foligno, è Italia Metafisica curata da Italo Tomassoni. Entrambi i termini metafora e metafisica sono contrassegnati del suffisso meta, in greco al di là, oltre, altrove. Nel caso della metafora viene indicata la significazione del portare, accompagnare fuori, e nel caso di metafisica si indica la dimensione dell’ultra tangibile, terreno e terrestre, un al di là della fisica. Tatge segue le tracce della storia, la contempla per frammenti sino ad inoltrarsi in essi per avviare una dialettica e strappare le immagini dal loro continuum per conferire ai simboli e ai segni piena visibilità. Così la fotografia diventa arte e lo è ancora oggi in cui la contemporaneità l’ha ridotta ad ancella della quotidianità, a fotocopiatrice della realtà. In Tatge emerge evidente quanto il filosofo tedesco Walter Benjamin scrisse a proposito di fotografia, già allora – negli anni ’40 – decretandone la fase di declino in quanto arte, vaticinatore di quanto in realtà sta accadendo. Tatge vi sfugge perché – come sostiene Benjamin – in grado di stabilire qual rapporto dialettico tra segni e simboli, tra io cosciente e inconscio, prendendo l’osservatore per mano a condurlo fuori, o meglio dentro, negli enigmi dei nostri sogni e del nostro immaginario, “Le circostanze – scrive Benjamin – giungono ad impressionare l’attenzione dell’osservatore quando procurano l’esperienza, spesso impercettibile, della discontinuità del tempo. Lo choc istituisce il bisogno volontario (quando l’osservatore vi ritorna ossessivamente) o involontario (quando l’evento evoca un dettaglio che si credeva sopito) del ricordo. La coscienza, che si allinea al ricordo, compie un estenuante lavorio analitico sulle scene e gli stati emotivi, che in principio dimorano disparati o confusi; sfaccettando la materia fino a disgregarne i confini, l’osservatore visualizza in un istante i minuti legami che uniscono (e compenetrano) le differenti parti della riflessione”. Eccolo il Tatge che va oltre la transitorietà della storia, contro il tempo per fermarlo e quindi farlo morire e rinascere sotto altra forma, nel suo personale al di là eterno. Tra le tante rette e geometrie delle sue architetture anche quelli che Marc Augé, filosofo francese scomparso proprio nei giorni scorsi, definì non luoghi, si ergono a templi sacri silenziosi e inanimati delle nuove modalità dell’abitare, o meglio del non abitare, che è la transitorietà, l’attraversamento, nuova condizione dell’esistenza nel suo continuo divenire e trasmigrare da un punto all’altro: della città, del paese, del pianeta. “La storia è un paesaggio di frammenti sparsi e discontinui tra loro – scrive Benjamin – e Tatge li mette in relazione sino a generare quella tensione che non si esaurisce nella complementarità degli opposti, ma pone nuovi interrogativi, uno straniamento – come lo definirebbe Guy Debord – che conduce direttamente all’oltre, al surreale e al di là del fisico e del tangibile. Nei nuovi scatti dedicati a Foligno, Tatge si conferma maestro dell’astrazione che seguendo le tracce del tempo, lo pone in dialettica tra nuovo e vecchio, tra abbandono e funzionalità, tra straordinarietà e continuità, ponendosi oltre nella posizione sospesa dell’atemporale e per questo creando nuovi feedback introspettivi. Così George Tatge sulla sezione dedicata alla città di Foligno: “Ciò che mi ha colpito è quanto la città si sia rinnovata in questi ultimi quarant’anni. Ma qui non troverete immagini che ritraggono queste migliorie. Ho preferito concentrarmi sugli angoli della città che esprimono qualcos’altro. Come nel caso stesso del Ciac, che affianca felicemente palazzi dei secoli passati. Quindi statue, nicchie (forse fontane?), ex-cinema, fabbriche dismesse, luoghi che ci parlano ancora nel loro silenzio. I lunghi rami di un’edera che durante i decenni si è lentamente impossessata di un recinto metallico, abbracciandolo tutt’ora nonostante sia ormai morta. O l’interno di un platano trovato nel Parco dei Canapé, un mondo oscuro formatosi chissà nel corso di quante stagioni, abitato da chissà quante creature? Quali visi ci appaiono dalle pareti, quali forme si celano sotto la melma liquida? Un universo nascosto in mezzo ad un parco cittadino, che ci invita a perderci nel suo interno. La fotografia come metafora. È questa la mia passione”.
Nato da madre italiana, Tatge ha scelto oltre 45 anni fa di vivere in Italia e di dedicarsi alla scoperta di questa terra affascinante e complessa. Immagini scattate dalla Valle d’Aosta alla Sicilia con la leggendaria Deardorff, una macchina a soffietto da cui si ottengono negativi in bianco e nero di grande formato (13×18 cm), e stampate personalmente dall’autore in camera oscura.
Una modalità fotografica lenta e meditativa per capire un mondo in rapida trasformazione e per produrre immagini che ispirino ai visitatori uno sguardo lungo e approfondito.