Ieri 17 novembre ultimo dei tre giorni di programmazione del documentario “Zappa“, diretto da Alex Winter, sul chitarrista italo americano.
Non volevo perdere l’occasione di andarlo a vedere e cosi sono entrato in una sala cittadina al primo dei due spettacoli, quello pomeridiano.
Al di là del fatto che è desolante notare come oltre al sottoscritto e a mia moglie si potessero contare soltanto altre quattro o cinque persone debbo dire che mi è rimasto un po’ d’amaro in bocca.
È senza dubbio molto interessante che il documentario cerchi di far entrare lo spettatore nel mondo del musicista e compositore scomparso nel 1993 a soli 52 anni.
È una goduria per tutti gli appassionati andare a curiosare negli scaffali dove Frank custodiva praticamente tutto ciò che produceva ed illuminanti sono le dichiarazioni di coloro che gli sono stati vicini, che si tratti dei musicisti che lo hanno affiancato – molto toccante il racconto della vibrafonista Ruth Underwood – o della moglie Gail (scomparsa anche lei nel 2015).
Avvincente è il racconto della carriera artistica intrecciata a quella “politica” – Zappa annunciò la sua candidatura alle elezioni presidenziali americane ma le precarie condizioni fisiche lo fecero recedere dalla corsa alla Casa Bianca – così come l’impegno con paesi come la Cecoslovacchia, della quale divenne una sorta di ambasciatore.
La sua ferrea posizione nei confronti della censura americana, del mercato discografico e dell’assoluta contrarietà all’assunzione di qualsiasi tipo di droga ci fanno meglio comprendere la personalità dell’artista. Zappa era completamente autodidatta ed è comunque riuscito a scrivere musica davvero complessa ed a compiere passi leggendari per l’arte in generale.
Il suo iniziale amore per le pellicole lo ha portato ad interessarsi sempre di questo mondo; secondo i musicisti che portano la testimonianza della loro esperienza “zappiana” probabilmente avrebbe potuto costruire, se avesse voluto, delle hit formidabili, ma non gli è mai interessato ed anche questo la dice lunga sul personaggio.
L’ultima parte del film che vede uno Zappa affaticato dalla grave malattia, che non gli ha impedito lavorare finchè ha potuto, è molto toccante anche grazie alle riprese tratte dall’ultimo concerto dove dirigeva un’orchestra e gli è stata tributata una standing ovation di 20 minuti.
Due in conclusione le cose che non mi sono piaciute; la difficoltà nel seguire i sottotitoli, velocissimi e spesso su fondo bianco che non permettevano di distinguere quasi nulla e soprattutto in un film di oltre due ore che parla di un musicista, la quasi minimizzazione della musica dell’artista, privilegiando i dialoghi; per apprezzare un po’ del genio zappiano è necessario attendere i tioli di coda ed ascoltare il suo magico tocco chitarristico.
Il film rappresenta per me un’occasione perduta per valorizzare la figura del musicista pur non escludendo che se sarà proposto su qualche piattaforma televisiva non lo rivedrò o se sarà pubblicato in dvd non lo acquisterò ma ciò non modifica il giudizio.