Franco Antonelli 1929-1994: un architetto nel suo tempo

La giornata di studio su Franco Antonelli nel corso della quale sono stati presentati alcuni dei principali contributi che verranno presto pubblicati in un volume edito dalla casa editrice  Electa Mondadori, ha rappresentato un evento molto importante per la città di Foligno che ospita gran parte delle sue opere più significative. I curatori del volume – Paolo Belardi e Marzia Marandola –  avvalendosi del  prezioso contributo di alcuni dei massimi storici dell’Architettura Italiana del calibro di Claudia Conforti e Francesco Dal Co e dell’apporto di brillanti studiosi, professionisti e ricercatori, ci hanno infatti accompagnato attraverso il percorso narrativo di una vita intera dedicata al servizio della professione di una delle poche personalità della nostra regione che si sono particolarmente distinte ed affermate nel panorama nazionale dell’architettura. 

Tralasciando in questa sede di addentrarci nei temi trattati dai relatori, l’evento merita un particolare apprezzamento per almeno tre ordini di ragioni. Il primo, che attiene ad aspetti generali, è quello che consegue dall’impegno encomiabile  profuso dai promotori volto a  mantenere viva la memoria di una personalità che ha lasciato un segno indelebile nella propria città dedicandosi ad  una disciplina che, nel nostro paese, sembra aver perso parte del proprio prestigio.  L’Italia, per storia e per cultura,  ospita infatti alcune tra le massime espressioni di ogni tempo dell’arte del costruire; ma oggi, nell’epoca della sua riduzione a mera attività  tecnica “compilativa”, declassato dalla società e dalle norme vigenti al rango di “servizio”,  venuta meno “l’aura” che l’ha accompagnato nei suoi anni migliori, il progetto di architettura sembra destinato ad  una crisi inarrestabile e senza sbocchi. Ridotta nella migliore delle ipotesi a «pratica che si affida all’impatto dell’iconico – come ha acutamente osservato  Germano Celant –  dove la funzione comunicativa altera i rapporti tra architettura e società», l’arte del costruire è in gran parte confinata nell’ambito sempre più  ristretto delle poche occasioni scandite da eventi internazionali appannaggio pressoché esclusivo delle onnipresenti archistar.  E invece, come lo stesso itinerario professionale di Antonelli sembra poter dimostrare, può e deve esistere un terreno ben più ampio, seppure talvolta confinato nelle città di provincia «in condizioni di eccentricità rispetto ai  luoghi in cui si formano le opinioni dominanti» – come ha efficacemente sottolineato Francesco Dal Co – dove l’architettura ha espresso alcuni dei suoi esiti migliori: basti ricordare l’opera di Ridolfi a Terni, di De Carlo a Urbino e –  infine –  quella di Franco Antonelli a Foligno solo per fare qualche esempio a noi prossimo. 

Foligno, Monastero Betlem

Il secondo ordine di ragioni, attiene al profilo linguistico scelto da Antonelli per esprimere la sua personale visione dell’architettura. La definizione coniata da Ruggero Lenci di «manierismo della contemporaneità»,  quello cioè di un linguaggio aperto, composto dalla combinazione di codici diversi da utilizzare nel processo progettuale,  riassume come meglio non si può il metodo di volta in volta adottato dal maestro folignate nelle sue opere più  riuscite. Si tratta di un approccio alla composizione che lo stesso Lenci ha spiegato in numerose circostanze in modo assai convincente traslando dalla biologia   la concezione contenuta nella celebre affermazione di Ernst Haeckel secondo cui «l’ontogenesi ricapitola la filogenesi»: ovvero che la definizione formale  del progetto riassume in sé la storia dell’architettura. Alla luce di tale concezione, l’approccio manierista di Antonelli che trae ispirazione dai linguaggi del movimento moderno (padroneggiando con assoluta sicurezza indifferentemente alcuni degli stilemi del razionalismo-organico di Aalto, quelli dell’organicismo di F.L. Wright spingendosi fino al brutalismo di LC),  non assume necessariamente in sé la connotazione negativa che comunemente viene attribuita alla pratica del manierismo, ma costituisce piuttosto l’affermazione del fondamentale principio che non è possibile recidere i legami con la storia. Una lezione che ancor prima che di metodo,  risponde  ad una visione ”etica” del comporre.

Sacro Cuore

Infine, il terzo ordine di ragioni attiene in un certo qual modo al rapporto con la società e la committenza. Ci sono personalità, nel campo dell’arte e in genere delle discipline creative, che riescono ad interpretare per mezzo del  proprio lavoro lo spirito del tempo. E’ quanto riesce a fare Antonelli, ad esempio, con la vasta produzione di edifici religiosi. Le sue chiese, infatti, raccolgono e danno forma compiuta all’afflato  del cambiamento che soffia dal Concilio Vaticano II°: così, lo spazio liturgico, si conforma alle esigenze mutuate dalle  trasformazioni sociali e culturali che attraversano la società propugnando un rapporto nuovo dell’uomo nel relazionarsi con Dio.  Una concezione dello spazio sacro di cui l’architettura si fa veicolo ed interprete compiendo uno straordinario sforzo di rinnovamento e di riallineamento del magistero ecclesiale alle istanze della modernità. Poco importa – come sostengono alcuni dei critici del nuovo corso dell’architettura sacra – se il passaggio da una concezione – per così dire –  verticale ad un’altra di tipo  orizzontale  nel rapporto con la divinità, ha contribuito ad innescare la tendenza alla de-sacralizzazione  che contraddistingue la gran parte della produzione architettonica religiosa  inclusa quella di ottima qualità come quella di Antonelli: perché, purtroppo, la perdita del sacro  è  uno dei problemi che affligge la società contemporanea e “l’architetto come sismografo” non può fare a meno  di registrarla. Nondimeno, la vasta produzione di edifici di civile abitazione, case unifamiliari, opifici industriali, ecc., rispecchia a sua volta l’ansia di cambiamento e di rappresentazione di una committenza borghese medio-alta che, negli anni sessanta e successivi, costituisce la classe dirigente su cui si fonderà il lungo ciclo di crescita  della città.

Baldazzarri

Insomma, per concludere, in attesa della pubblicazione del catalogo che si preannuncia di assoluto livello, molte sono le ragioni per rinnovare  l’apprezzamento per la bella giornata di studio su Franco Antonelli la quale ha avuto un meritato successo sia per quanto riguarda la partecipazione che per la indubbia qualità dei contributi.   Ma c’è ancora una ragione – per quanti credono ancora nel valore dell’arte del costruire e, nonostante tutto,  si ostinano a coltivarla, ad insegnarla o a promuoverla – che assume la massima importanza: l’architettura di ogni tempo – come ha osservato il grande filosofo  Emanuele Severino – era e resta  una delle massima forme di espressione del pensiero e l’attuale condizione di crisi in cui si trova, è purtroppo l’inevitabile conseguenza della crisi del pensiero stesso. Contrastarne la tendenza alla deriva, grazie anche ad iniziative  come questa costituisce, ancor prima che una necessità, un dovere civico che dovrebbe vedere tutti impegnati, ad ogni livello, in uno sforzo straordinario in grado di  restituire all’architettura il rango e l’importanza che, nella storia,  ha sempre avuto.

 

Diego Zurli: