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Filippo Giardina: dalla stand up comedy al ritorno al “Cabaret”

Quanto rischia con le sue domande l’intervistatore di fronte a uno storico stand up comedian? Molto. Con Filippo Giardina ne è valsa la pena. Sarà a Perugia domani, 4 aprile, Sala dei Notari, in anteprima nazionale col suo nuovo monologo “Cabaret” per la stagione Comìc Umbria.
Cosa aggiunge e cosa ribadisce questo suo spettacolo rispetto ai 10 che lo hanno preceduto?
“Ribadisce il riproporre una mia strada di comicità che prima era quella di portare la stand up comedy. Aggiunge, in un momento in cui tutto è diventato stand up comedy , la necessità di fare cabaret”.
Ovvero?
“Preferisco vendere pesche sciroppate quando tutti vendono cioccolata”.
Come è arrivato a questo cambio “merceologico”?
“Ogni volta che qualcosa diventa popolare un minimo si snatura. Nel caso della stand up comedy non è che ci fosse una vera e propria differenza strutturale con il cabaret. Noi con Satiriasi (collettivo nato nel 2009 ndr.) volevamo raccontare la realtà, che era invece appiattita su luoghi comuni. Oggi nel nome della stand up comedy si è ripreso a raccontare banalità”.
Cos’era Satiriasi allora e cosa rimpiange ora?
“Satiriasi nasce nel 2009 dopo 8 anni di schiaffoni che prendevo anche perché meno capace. Quando mi sono sentito di proporre qualcosa di diverso ho cercato di coinvolgere colleghi che stimavo”.
E cosa è accaduto?
“Abbiamo dato vita a un master sulla comicità satirica. Ne è nato anche un manifesto dettato da un amore vero verso la comicità: chi l’ha detto, ci siamo chiesti, che il comico deve essere il pagliaccetto che dice stronzate?”.
Che frutti ha dato?
“Tre stagioni di Comedy central con Satiriasi, quindi Nemico pubblico. Poi però il sistema radio televisivo è tornato sui suoi passi e ha preferito scegliere cose più rassicuranti”.
A proposito di tv e di Rai, cosa le resta di quelle 52 puntate di Sbandati?
“Un bel monologo in cui ho raccontato che mi sono venute le emorroidi”.
Al di là del malessere fisico?
“Raramente incompetenza e arroganza vanno insieme così come nella Rai. E’ proprio un luogo particolare, dove questi due difetti si fondono e intersecano in maniera incredibile”.
Dall’esterno, parrebbe difficile entrare in Rai…
“”Entrare no, rimanerci sì”.
Dalle note sullo spettacolo “Cabaret”, sembra di capire che c’è molta politica di mezzo. Giusto?
“In effetti sarà una grossa parte dello spettacolo rispetto ai precedenti ma eviterei di spoilerare troppo adesso”.
Un commento del pubblico che l’ha favorevolmente colpita al termine di un suo spettacolo?
“Ritengo che i commenti dal vivo abbiano tutti una loro dignità. Quelli on line, quelli pubblici, siano essi critici o di elogio, che ti dipingano come un genio o come un coglione, a mio avviso raccontano molto più del commentatore che del commentato. La soddisfazione più grande è vedere ragazzi di 18-19 anni che hanno preferito comprare il biglietto per venire a vedere un cinquantenne, piuttosto che, per dire, ubriacarsi”.
Non è poca cosa…
“Al punto che comporta molta responsabilità in ciò che si dice e consapevolezza nel non mandare messaggi negativi anche se tendenzialmente non propendo per quelli positivi. Ci sto attento visto l’uditorio che ho di fronte”.
Il futuro della stand up comedy italiana?
“Un grande presente e un grandissimo futuro. Poi, toccherà alle nuove generazioni”.<CF1403>
Sembra poco convinto…
“Al momento ritengo si stia vivendo un’ondata di comicità borghese. Chris Rock, uno dei più grandi comici contemporanei al di là dello schiaffo agli Oscar, ha saputo raccontare la sua uscita dal ghetto. Per me la comicità ha il potere di raccontare gli ultimi. Ora in Italia non sembra essere così, ma è una tendenza che finirà presto. Vince sempre l’esperienza diretta”.
Il momento in cui ha capito che poteva essere un comico?
“Quando ho iniziato a scrivere. Il mestiere del comico lo fa chi scrive. Un po’ come il cantautore”.
Cosa dire al pubblico che verrà a vedere il suo nuovo spettacolo?
“Se sono giovani, fatevi una canna. Se sono anziani ricorderei loro che la frase più stupida che sia mai stata detta è: ne uccide più la lingua che la spada.
Perché Perugia?
“Non ci volevo assolutamente venire. Il fatto è che avevo fatto lì una serata con Matteo Svolacchia e mi ero trovato molto bene. Lui ha insistito talmente tanto che alla fine ho accettato.”

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