Appena uscito abbiamo dato notizia su VivoUmbria dell’ultimo libro di Enrico Deregibus: “Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni”. E’ un giornalista, critico musicale, scrittore di grande spessore: suoi “Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi”, corposa biografia pubblicata nel 2015.
Come suo nel 2016 il volume inserito nel cofanetto “Backpack” (Sonymusic) che racchiude in cd 32 dischi di De Gregori. Non solo De Gregori: Deregibus, 54 anni, piemontese, ora abita a Roma, è consulente e direttore artistico di svariati festival: da “PeM– Parole e musica in Monferrato” a “Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty” al Mei – Meeting delle Etichette indipendenti, al Premio Bianca d’Aponte. E’ ideatore del “Dizionario completo della canzone italiana” e, con Enrico de Angelis e Sergio Secondiano Sacchi, di “Il mio posto nel mondo. Luigi Tenco, cantautore. Ricordi, appunti, frammenti”.
Del 2013 è “Chi se ne frega della musica?”, raccolta antologica di suoi scritti usciti su varie testate. Insomma, un guru del panorama musicale italiano. E una bella opportunità poterlo intervistare.
Prima di iniziare a parlare del tuo ultimo libro è inevitabile chiederti da esperto di musica italiana quale sei, un giudizio su Sanremo.
“Chissà perché me lo aspettavo…Da tempo sono convinto che non ha importanza chi vince il festival, basta pensare che l’anno dopo spesso non ci si ricorda chi sia stato. La vittoria è una medaglietta, niente di più. Detto questo, mi fa piacere che se la possano appuntare sul petto i Maneskin, il rock che vince a Sanremo è un ulteriore segno di apertura”.
A te è piaciuto il Festival?
“Premessa: non ho un buon rapporto con Sanremo, l’ho sempre visto come un pesante fardello, relegava la canzone italiana a canoni classici, passati. Alla nomina di Amadeus, lo scorso anno, confesso che iniziai a preoccuparmi davvero. Invece ho dovuto ricredermi: è riuscito a portare al Festival una selezione di musica contemporanea, superando il ritardo cronico di una rassegna ferma, fatta eccezione per alcune edizioni condotte da Fabio Fazio. Ora Sanremo è quello che avrebbe dovuto essere da sempre: canzoni belle altre brutte, ma reali”.
Le canzoni di quest’anno?
“Bene gli artisti al loro esordio: Willie Peyote, Colapesce e Dimartino, gli Extraliscio, La Rappresentante di Lista e Madame. Ed anche Coma_Cose e Fulminacci, anche se questi hanno portato canzoni troppo sanremesi per loro, un errore fatale che fanno commettono”.
La formula ti ha soddisfatto?
“Sono di quella generazione cresciuta con il cantautorato che andava a prendersi la scena musicale italiana. In un primo momento avevo pensato di scrivere un libro su Paolo Conte ma avevo più materiale in cascina su De Gregori”.
Nel complesso, cosa di lui ti ha più colpito?
“A livello irrazionale, emotivo, la voce; un timbro affascinante: rude e candido allo stesso tempo. Poi, senza dubbio, i testi: immaginifici, contengono quotidianità e pensiero alto. Infine, la sua aria un po’ malinconica”.
E’ vero che con gli anni De Gregori ha smussato le spigolosità del suo carattere?
“Lo sento dire. In realtà non era del tutto vero che fosse spigoloso prima come, per determinati aspetti, non è che si sia ammorbidito ora”.
Però l’immagine era quella di un artista schivo. O no?
“Bisogna contestualizzare. Era davvero molto giovane quando è arrivato al successo e all’attenzione di tanti. Tv, radio, sovra esposizione, logiche discografiche… Non era facile orientarsi. Poi lo ha molto segnato il ‘processo di piazza’ che subì al Palalido negli anni bui, era il 1976. Sentenze urlate difficili da metabolizzare per lui che, sostanzialmente, era un ragazzo ben educato”.
E’ vera la storia che De André avesse una sorta di soggezione nei confronti di De Gregori?
“E’ vero che De André, una sera, lo andò a sentire molto incuriosito al Folkstudio, a Roma. Francesco che lo era venuto a sapere rivisitò ‘La canzone di Piero’ intitolandola ‘La cacca di Piero’. Da lì un’intesa che maturò pian piano e che dopo il periodo trascorso insieme in Sardegna si concretizzò con il disco Volume VIII in cui forte è l’impronta di De Gregori”.
A proposito di collaborazioni: quella con Lucio Dalla?
“Fertilissima. Per entrambi. Lucio ha preso le cose migliori di Francesco e viceversa, come accade quando si incontrano i grandi artisti”.
Veniamo al libro. Cosa c’è in queste 700 pagine?
“Le canzoni di De Gregori, come e dove sono nate, curiosità aneddoti”.
Tipo?
“Ad esempio La storia l’ha cantata per primo Morandi, Il cuoco di Salò era una filastrocca per bambini, La donna cannone non doveva essere pubblicata, Sempre e per sempre ha portato al licenziamento di una ragazza, Un gelato al limon di Conte doveva far parte di Viva l’Italia, Buonanotte fiorellino non parla di un incidente aereo, Bufalo Bill aveva una strofa in più”.
Il libro spiega i testi?
“Non proprio. Le cose che premetto servono magari a comprenderne alcuni aspetti; ma le liriche di De Gregori vanno da sole e sono belle proprio perché consentono di essere liberamente interpretate”.
Secondo te, conoscendolo, De Gregori l’ha visto Sanremo?
“Non tutte le sere, ma qualcosa ha visto”.
Chissà come ha commentato. Vabbè, hai in cantiere un altro libro?
“Penso a una raccolta delle interviste che in questi anni ho avuto l’opportunità di fare”.
Un artista di cui ti vorresti occupare alla…De Gregori c’è?
“L’ipotesi Paolo Conte resta in piedi”