SPOLETO – Il pubblico rumoreggia ancora nell’ex chiesa di San Simone a Spoleto, quando da dietro il soppalco dove è sistemato si sentono passi pesanti e cadenzati: una marcia. È l’inizio di Esodo, lo spettacolo in prima nazionale realizzato da Emma Dante per la 62esima edizione del Festival dei Due Mondi. Il rumore dell’incedere si fa via via più forte. Un gruppo di uomini e donne, recante bagagli e sedie, entra dalla parte destra, in mezzo agli spettatori. Questi migranti, interpretati dagli allievi attori del Teatro Biondo di Palermo, non sono, però, affatto comuni.
Si tratta, infatti, dei personaggi dell’Edipo re di Sofocle, scappati da Tebe come fossero un gruppo di comici dell’arte: con valige, speranze e una storia da raccontare. In un primo momento la conquista della scena è fisica, attraverso la figura del cerchio in movimento. Poi diventa anche scenografica e quelli che sembravano alberi, si trasformano in stendini dove appendere abiti e costumi per rappresentare la tragedia.
PERFORMANCE E RITUALIZZAZIONE
Richard Schechner, teorico della performance, vede nelle ritualizzazioni ancestrali la compresenza di vari generi performativi: danza, teatro, musica, rito, gioco libero e con regole. Ed è esattamente in questi termini che Emma Dante sceglie di restituirci la storia dell’eroe che “uccide il proprio padre e sposa la madre”. La dimensione rituale è nelle prefiche che, rosario in mano, pregano con formule ritmate per la peste che colpisce la città; quella musicale nell’utilizzo di fisarmoniche, tamburelli, chitarre e altri strumenti folk; la danza nelle coreografie in gonnella delle donne tebane; il teatro, naturalmente, nel racconto della storia di Edipo.
Tutto, poi, è calato all’interno del gioco metateatrale, in cui la tragedia, più che essere vissuta, viene narrata perché già avvenuta. Questi livelli performativi non vivono in modo separato, ma, e qui sta la grandezza della Dante, si integrano in una visione d’insieme unitaria, dove tutto è calcolato alchemicamente.
FIGURE E CORPI
La firma caratteristica della regista palermitana è ben visibile anche nel lavoro sul gruppo di attori, soprattutto per le posizioni sceniche: dalla schiera in proscenio al già citato cerchio in movimento. Tutti strumenti che, utilizzati sapientemente, muovono l’attenzione e l’emotività spettatoriale. Un esempio lampante è quello della schiera di personaggi a inizio spettacolo. In essa ognuno degli attori aggiunge progressivamente il verso di un animale. L’accorgimento performativo-spaziale consente, in questo caso, di trasfigurare il dato meramente visivo del corpo attorale, per accedere ad uno vocale e auditivo sempre più intenso. In altri termini si passa da un muro fisico a un muro sonoro. Proprio qui va data una nota di merito ai ragazzi della Scuola del Biondo che hanno saputo rendere in modo efficace il linguaggio e la visione registica.
DA EDIPO A MACBETH
Emma Dante non conclude la sua estate con questo spettacolo e ritorna a lavorare con un re non meno tormentato di Edipo. Allo Sferisterio di Macerata va in scena, con due repliche a luglio (20 e 26) e il 4 agosto, il Macbeth di Verdi su libretto di Piave, melodramma del 1847 tratto dall’omonima tragedia di Shakespeare. Ormai la Dante ha un rapporto consolidato con il genere operistico che conta enormi successi da La muette de Portici che ha spopolato al Petruzzelli di Bari alla Cavalleria rusticana per il Comunale di Bologna e tanti altri titoli.
Insomma un’alacre regista che tra prosa, cunti e opera non smette di affascinare il pubblico italiano e internazionale.