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E' morto McCoy Tyner, il dottore in musica con Philadelphia nel cuore

PERUGIA – Era il 16 luglio 2005, quindici anni fa. Sala dei Notari: il presidente del Berklee College of Music, Roger Brown, conferisce il dottorato onorario di laurea in musica ai pianisti Hank Jones e McCoy Tyner e al trombettista Enrico Rava per i loro contributi duraturi al jazz e alla cultura nella Sala del Notari. Il college con sede a Boston stava celebrando la sua ventesima stagione di educazione jazz  a Umbria Jazz, con la Berklee Summer School alle Umbria Jazz Clinics. Umbria Jazz e Berklee College hanno dunque riconosciuto a McCoy Tyner, scomparso ieri, 6 marzo 2020, in Philadelphia, all’età di 81 anni, quel ruolo che il pianista si è ritagliato nell’ambito della storia della musica contemporanea, quella dell’innovatore nel jazz che ha contribuito a modellarne gli stilemi modali. Sono molteplici i fattori che hanno distinto la vicenda artistica di McCoy Tyner, fattori non soltanto puramente artistici, ma anche antropologici e sociali. Tra questi ultimi, il fatto che McCoy Tyner provenisse da Philadelphia, la città americana che dopo New York contava su un’effervescenza musicale impareggiabile in tutti gli Stati Uniti. Le comunità afro-americane ebbero un ruolo fondamentale negli anni Settanta per orientare la musica verso nuove frontiere: a Philadelphia nacque il Philadelphia Sound che pose anche le basi per il nuovo indirizzo dance che in quegli anni conquistò l’intero pianeta. Ma ancora prima del sound di Philadelphia, la città fu punto nevralgico per la definizione dell’hard bop. Erano gli anni Cinquanta del secolo scorso e John Coltrane ebbe modo di suonare in entrambe le band di Jimmy Heath e Jimmy Smith. Da quelle prime esperienze in Philadelphia, Trane maturò l’idea di ingaggiare per il suo storico quartetto giovani talenti locali come Jimmy Garrison e McCoy Tyner. Inizia l’avventura di McCoy Tyner che inevitabilmente subì l’influenza diretta di Coltrane. Ma certamente non è un caso che il pianista di Philadelphia abbia rappresentato nell’ambito del jazz di Coltrane quella sorta di alter ego del grande sassofonista, pur rimanendo nel solco della musica modale: all’irruenza e alla potenza improvvisativa di Coltrane, McCoy Tyner contrapponeva una delicatezza, una qualità del tocco e una raffinatezza “ornamentale” nelle improvvisazioni che ne definì un ruolo quasi femminile, una “vestale” musicale che contribuì a ricondurre la furia creativa di Coltrane in un contesto musicale più dolce, sereno, certo e meno imprevedibile.
I prodromi del Sessantotto e dell’attenzione che il jazz, precedendo il pop, da un lato prestò alla spiritualità e, dall’altro, all’Oriente si manifestarono evidenti in Coltrane con capolavori come My Favorite Things e A Love Supreme e nei sei anni, dal ’60 al ’65, in cui McCoy Tyner rimane nel quartetto di Coltrane fu l’artefice più grande di gradi fantasie melodiche di grande ispirazione per Trane che rispolverò in quegli anni anche la predilezione per uno strumento che sino ad allora fu un po’ dimenticato, il sax soprano con cui Coltrane tracciò riferimenti musicali dai larghi orizzonti.  Ma fu a partire dal ’66 che McCoy Tyner, con la fondazione di un suo trio, definì una sua personalissima cifra stilistica che in breve gli aprì le porte a partnership molto diverse l’una dall’altra: da quella con Ike e Tina Turner all’inizio degli anni Settanta a quella di una all star in compagnia di Sonny Rollins, Ron Carter e Al Foster nel 1978 e molto altro ancora. Mentre Coltrane si avventurò nella direzione di un liberatorio free jazz, di “Trane” McCoy Tyner non dimenticò mai la grande apertura ai suoni del mondo che sottolineò tra gli altri in album come Expansions (1968) ed Exstensions (1970), ma sempre con la tendenza ad un fraseggio fiorito e delicato, forse diretta emanazione dell’influenza della sua amatissima Philadelphia, là dove la rabbia e le grida per il riconoscimento dei propri diritti civili delle comunità afroamericane, si tradussero in un sound dall’estrema raffinatezza emotiva e un  “sapore” agrodolce.

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