PERUGIA – Il nomadismo è elemento culturale e sociale che caratterizza diverse etnie nel mondo. Tra queste, nei Paesi europei. la più diffusa è quella dei Rom che affonda le radici all’India del Nord Est. Da lì i Sinti già dal medioevo traversavano monti e pianure per stabilirsi, girovagando di città in città, nei paesi europei. Gli zingari da secoli sono oggetto di una fama negativa: a loro spesso si addebitano furti, raggiri e persino rapimenti di bambini. Una fama spesso immeritata anche se le etnie nomadi soffrono ancora oggi di gravi problemi che ne escludono una piena inclusione, ma forse non tutti sanno che fu uno zingaro che per primo introdusse gli elementi della cultura “gipsy” in Europa e che grazie a quel grande contenitore di sincretismi culturali e sociali che è il jazz, fondò per primo in Europa, una nuova idea di jazz. Si chiama Django Reinhardt, belga di nascita, ma francese come formazione. Sapeva male appena scrivere il suo nome, ma fu lui che da nomade di origine sinti, così come apportatori di un’alterità furono gli africani nel nuovo continente, a stabilire i paradigmi del jazz europeo. Nato per l’appunto dall’incontro tra il jazz manouche e la musette, ballo tipico francese che si praticava nei bistrot. Dall’unione tra le timbriche degli strumenti a corda di tradizione manouche come la chitarra e il violino e la ritmica della musette si originò questa nuova forma di jazz che in breve conquistò prima l’Europa e poi l’America. E’ interessante qui notare come, anche in questo caso, la musica del XX secolo, ma soprattutto il jazz ebbe origine da occasioni ludiche, là dove l’uomo tralascia doveri e ruoli sociali e si abbandona al divertimento, nella divagazione di un’identità che impone rigidi schemi. Così come il jazz a stelle e strisce nacque nei bordelli di New Orleans, così il jazz europeo nacque nei bistrot parigini dove si ballava il valz musette in una sintesi tra cultura alta che introdusse modelli e canoni di riferimento e cultura popolare. Jean, poi soprannominato Django, Reinhardt nacque il 23 gennaio 1910 in un paesino del Belgio, Liberchies, ma ben presto la roulotte della sua famiglia si spostò in Francia dove Django crebbe, impossessandosi delle tradizioni musicali popolari del territorio che abitava. Si formò sul banjo, ma un incendio alla sua roulotte gli provocò la perdita dell’articolazione del mignolo e dell’anulare della mano sinistra. In breve passò alla chitarra che gli permise una maggiore manualità e, appena diciottenne, ne divenne un ineguagliabile talento. La notorietà dello zingaro arrivò agli orecchi di Stephane Grappelli, violinista di talento di origini italiane e ben presto i due si misero a lavorare per caratterizzare più decisamente la nuova forma di jazz che entrambi avevano in mente: strumenti a corda e senso ritmico mutuato da musette e dal bebop che cominciava ad arrivare da Oltreoceano. Con una formula che ricalcava esattamente questa idea nacque nel 1930 il Quintette du Hot Club de France formato da tre chitarre tra cui quella di Reinhardt, violino (Grappelli) e contrabbasso. Fu l’inizio della consacrazione definitiva del gipsy jazz che dopo la guerra si arricchì anche dell’elettrificazione della chitarra sempre ad opera di Reinhardt. Il quale fu invitato persino da Duke Ellington nella sua orchestra. All’apice del successo e a soli 43 anni Django Reinhardt lasciò la vita terrena. Siamo suoi eredi ancora ancora oggi dell’idea intensa di quanto la musica sia quell’ambito unico dove gli uomini, le idee, provenienze diverse, trovino sintesi nel riconoscimento delle alterità e come queste diventino presto un arricchimento per tutti noi. Oggi il gipsy è forma musicale molto frequentata e apprezzata anche da crescenti schiere di giovani. Grazie a Django e quell’uomo che crebbe nell’incontro tra le sue tradizioni e quelle dei luoghi che gli capitò di visitare e vivere; primo nomade tra i tanti che si avventurò nei territori dell’inesplorato musicale. L’anniversario della nascita, 110 anni fa, di Django Reinhardt, colui che inventò il jazz europeo, è data da ricordare.