CAMPELLO SUL CLITUNNO – “Più di tutto mi ricordo il futuro” queste le parole del pittore spagnolo Salvador Dalì, uno degli esponenti della corrente surrealista che durante le due guerre mondiali attraversò l’Europa. Il movimento nato con il manifesto di Breton negli anni Venti, rispondeva in modo reazionario a quel presente fatto di guerra e di distruzione con l’obiettivo di contrapporre una realtà fatta di immaginazione e sogno con una più razionale e devastante. Dalì, influenzato dagli studi di Freud, riuscì ad esprimere perfettamente il suo pensiero nel 1931 con il dipinto La persistenza della memoria. Gli orologi, sullo sfondo costiero della Costa Brava, rappresentavano sulla scia di Einstein la relatività del tempo. Il padre della psicoanalisi aveva definito il concetto del dipinto nella atemporalità dell’inconscio, laddove è proprio il sogno a portarci verso il futuro.
Nello stesso periodo in Germania nasceva la psicologia della Gestalt che, emigrata negli Stati Uniti durante le persecuzioni naziste, si focalizzò sulla percezione di quella realtà riuscendo così a contribuire nell’ambito della psicologia sociale allo sviluppo degli studi sull’apprendimento.
Proprio in un’ottica di reciprocità e confronto intergenerazionale, tra realtà e memoria, la Fondazione Giulio Loreti Onlus (https://www.fondazionegiulioloreti.it/) di Campello sul Clitunno insieme al Centro Internazionale per la Pace fra i Popoli di Assisi, ha da quest’anno promosso un percorso di formazione teorica ed esperienziale, tuttora in corso, intitolato Diamoci una mano destinata ai giovani con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni e ad anziani autosufficienti.
Il progetto con metodologia integrata ha una durata di otto mesi ed è a cura della dottoressa Cristina Marini, filosofa, Gestalt Counselor professionista e mediatrice familiare, e della dottoressa Stefania Rosati, psicologa.
Di fatto, più il nostro comportamento cambia e si adatta agli stimoli ambientali e più riusciamo a formare la nostra identità e ad apprendere. Uno dei fattori che sembra rallentare il declino delle funzioni mentali è proprio quello di esporci, in vecchiaia, ad ambienti che stimolino la nostra continua evoluzione ed evitino l’annichilimento.
Inizialmente i volontari che, per tutta la durata del progetto verranno seguiti attraverso incontri di supervisione e tutoraggio, sono stati formati dalla dottoressa Marini che ha fornito loro indispensabili strumenti di relazione trattando tematiche sulla terza età, sull’ascolto e sull’ascolto attivo, sull’empatia e sulla comunicazione. L’incontro con gli anziani aderenti al progetto è avvenuto subito dopo la formazione in aula, spesso nelle loro case per favorire l’accoglienza.
Stupisce vedere giovani studiare il miglior modo per avvicinarsi con tatto, cortesia e interesse, a quello stesso anziano che durante le due guerre era nel fiore degli anni e che oggi la società vorrebbe far ritirare in solitudine. Mentre non meraviglia, ma anzi intenerisce, guardare con quale naturalezza e vivacità d’espressione loro stessi sembrino diventare e sentirsi di nuovo utili, di nuovo unici.
È così che una mattina incontriamo Anselmina, per gli amici Mina, che ha 82 anni ed è entusiasta di un progetto che le permette di essere ancora una volta viva. Spiega come fa a ricamare le tovaglie con il punto croce e con una digressione racconta “la serietà e la durezza” degli insegnamenti che i suoi genitori le hanno dato, il desiderio di voler studiare come le piaceva senza però dover interrompere perché donna. Al tavolo della sua cucina il giudizio si sospende e i ragazzi imparano a capire le emozioni e si insinuano con rispetto in quelle storie che prima o poi saranno anche le loro. Da Lanfranco invece si adattano ai suoi tempi, al ritmo della sua voce e dei suoi movimenti lenti. Lui, dopo aver lavorato in una fabbrica svizzera per anni, da pensionato a 87 anni si diverte a fare mosaici e insegna ai ragazzi la pazienza, l’attenzione al dettaglio, come godersi il momento. Per Fabrizio, uno dei volontari, seguire le indicazioni di Lanfranco per fare il mosaico con la pietra è stato “bello, bello condividere la passione di un altro”, un altro che solo per un dato anagrafico ha smesso di essere giovane ma non per questo estinto e infatti con i suoi racconti riesce a regalare loro la conoscenza di realtà che altrimenti verrebbero perdute. Con gli anziani si instaura un legame che è difficile rompere, con loro c’è “un rapporto di confidenza e quindi ti trovi non solo a fare qualcosa ma a fare qualcosa insieme” come dice Aurora, un’altra volontaria.
Da ambo le parti, se glielo chiedi, nessuno si aspettava che fosse così bello, conoscersi nel tempo e poi non perdersi.