PERUGIA – Un’idea da leccarsi i baffi. E’ venuta a Silvia Buitoni, figlia di Paolo fondatore dell‘Industria Buitoni Perugina, che ha creato il gruppo Facebook del momento: “Dall’uovo alla coque al ragù“. Come dire, dal semplice bricco d’acqua in ebollizione con dentro l’uovo che richiede solo occhio attento alla cottura, alla sofisticata preparazione di un sugo memorabilmente protagonista persino della commedia eduardiana in “Sabato, domenica e lunedì”. Una adesione entusiasta del popolo FB.
“Cerco, assieme a quelli che hanno sposato la mia idea, i sentimenti. Anche perché è ciò che ci differenzia dagli altri 300 milioni che nel mondo parlano del food” ci ha rivelato fra l’altro Silvia nell’intervista che recentemente le abbiamo fatto per Gruppo Corriere. Quello che conta, in sostanza, è più il gusto che rimane nella memoria che non nel palato. Perciò è attenta e filosoficamente indirizzata la selezione che Silvia compie rispetto a ciò che le arriva dal mondo web: “Il filtro è sistematico ma soprattutto etico. Mi riservo in prima persona di decidere cosa pubblicare. Ovviamente evito di mettere il nome del piatto che possa indurre a qualsiasi forma di pubblicità indiretta e, sistematicamente, eventuali rimandi politici. A parte Garibaldi…il soprannome che mi è stato dato mentre mi apprestavo a toccare quota mille adepti: qualcuno del Gruppo, infatti, mi ha simpaticamente paragonato a lui”.
Da qui alla Cena dei Mille dell’11 ottobre il passo è breve. Sarà la prima convention ufficiale del Gruppo FB. Si terrà a Perugia, all’Hotel Giò Arte e Vini. E Silvia Buitoni rivela in anteprima ai lettori di Vivo Umbria il menù.
Impossibile farci dare la ricetta blindata dei suoi cappelletti, Silvia Buitoni ci ha comunque rivelato alcune ricette di famiglia. Inevitabile, visto il rapporto diretto che comunque per alcuni può sussistere, iniziare dalla trippa.
“E’ una cosa particolare, o la ami o la odi. Io la amo. Ci sono diversi modi di prepararla e variano da regione a regione, ma tutti hanno una costante: l’uso di una qualche spezia che contrasti il suo odore marcato. Personalmente consiglio di lavarla bene e di farla bollire con i classici odori : sedano carota e cipolla ma perché no, due chiodi di garofano e qualche granello di pepe. Questo vale anche se il macellaio vi assicura che è già pronta da cuocere. Vengo nello specifico alla ‘Trippa all’andalusa’. Mio padre non poteva accontentarsi della classica ricetta nostrana che presuppone buccia d’arancia; o di una normale trippa alla romana con la menta. Lui voleva il cumino. Non solo, anche il chorizo, il classico salamino rosso di pimenton e bono, come tutti i salumi di Spagna. ‘No Silvia, la salsiccia con il peperoncino non va bene, devi trovarmi il Chorizo’ mi disse. Vi immaginate, era il 1989, trovarlo nel cuore verde d’Italia, patria orgogliosa e fiera delle sue salsicce? Mai una cosa semplice a casa Buitoni, specialmente per quello che riguarda il cibo. Per mio padre poi, seguire una ricetta al grammo era indispensabile per avere la certezza della perfetta riuscita del piatto. Dopo tre ore di ricerca, in uno chicchissimo negozio della città ero riuscita a trovare il benedetto salame. Tornata a casa con il bottino, si comincia a preparare, seguendo accuratamente la ricetta della Bibbia della cucina in Italia: il Carnacina. Al solito non ero molto d’accordo. Già il taglio della carne mi disturbava: ‘tagliate la trippa a quadratini di quattro cm per lato’ recita il signor Carnacina, ‘Papà, la trippa si taglia a striscioline!’. E lui: ‘Vedrai Silvia, anzi assaggerai, e poi mi saprai dire’.
Come al solito aveva ragione. Al morso, sapori nuovi e inaspettati si incontravano in un classico della cucina popolare di tutto il pianeta. Ora che ci penso, piace anche a me passeggiare tra le ricette del mondo, grazie papà. Per la trippa all’andalusa aprite il Carnacina alla ricetta numero 2309 e seguite attentamente le istruzioni, ci vogliono anche ceci, peperoni e una noce, ma oramai il chorizo si trova dappertutto”.
Ottima ricetta e davvero un bellissimo ricordo. Poi?
“Direi la crostata di pesche e i pranzi domenicali di nonna Alba. Mia mamma ci svegliava prestissimo perché dovevamo essere perfetti, niente capelli con i nodi, unghie di terra o scarpe da ginnastica ma vestitino col punto smock, sandali con gli occhi e pettinatura perfetta. Con mio fratello Filippo non c’era bisogno di combattere, lui era sempre elegantissimo. Per quel che mi riguarda, avevo uno stile tutto mio, fatto di camice indiane e jeans che a San Prospero, non potevano nemmeno varcare la soglia.
Ebbene, dopo lotte e litigi, mia mamma di solito vinceva e si partiva tutti, con il broncio, alla volta della città. A casa di Nonna Alba non volava una mosca, le regole erano ferree e se per caso ti serviva la toilette, era persino vietato dire la parola bagno, il bagno si chiamava ‘posticino’. A tavola la perfezione nella mise en place, nel servizio e, naturalmente nelle portate: sempre moderate ma di una bontà infinita.
Non scorderò mai la crostata di pesche, preparata con una pasta frolla che sono sicura contenesse anche farina di mandorle amare.
Mi ricordo ancora il suo sapore meraviglioso e con una punta di qualcosa che in realtà non gradivo fino in fondo, ma che era perfetta nella sua complessità. Non so se riesco a spiegarmi… Insomma nessuno, dico nessuno è mai riuscito a trovarmi quella ricetta ma sono sicura che Viola o Filippo ce l’abbiano, nascosta da qualche parte”.
C’è dell’altro in questo menù di casa Buitoni?
“I chicchi di nonna Adriana non erano un premio ma una certezza.Li comprava al negozio della Perugina in centro a Roma e metteva il sacchetto di carta con il fiocco nella borsa. Nessuno sapeva dove li nascondesse, ma la curiosità veniva presto sopita, perché ogni sera ognuno di noi nipoti aveva la sua razione, questo era sicuro.
La nonna, elegantissima e un po’ traballante chiamava a raccolta i bambini dicendo “chicchi” e un orda di ragazzini spettinati si metteva ordinatamente in fila di fronte al cassettone senza che volasse una mosca, con la mano aperta ad aspettare la certezza, prima di andare a dormire”.
Manca la frutta…
“Partirei … dall’aereo. La prima volta che l’ho preso avevo sei anni, direzione Parigi. Mia madre mi portava a vedere una grande mostra dedicata a Matisse. Non mi ricordo molto, a parte una sala con delle enormi tele coloratissime ed un ristorante strepitoso dove mi hanno servito un piccolo melone di cui sento ancora il sapore. E’ cominciata lì la mia passione per l’arte e per i sapori ed è iniziata grazie a mia madre Livia che per mano ha accompagnato me ed i miei fratelli in un viaggio nella bellezza celata in ogni forma, in ogni colore, in ogni profumo, in ogni suono e anche in ogni gusto. Sono 11 anni che non è più qui, ma la sua musica, la sua arte, il suo amore per la bellezza e il profumo dei suoi fornelli; aleggiano tra noi come se ci fosse ancora”.
Per finire, ci dà una ricetta del tipo: ingredienti, peso, tempi di cottura?
“La focaccia di mia figlia Livia. 500 grammi di farina, lievito madre a occhio. Olio extra vergine d’oliva anche questo a occhio, stessa cosa per il sale e l’acqua”.
Già, perché anche l’occhio… Bene, a questo punto non resta che augurare lunga vita a questo Gruppo che, presto o tardi, ci imporrà di verificare di persona la bontà delle cose che dicono. E cucinano.