PERUGIA – “Bolide | Deus ex machina” è il titolo-tema della performance di Elia Pangaro, 27 anni, perugino, danzatore, performer e coreografo con la quale ha vinto il bando internazionale che Biennale College Teatro dedica alla performance site-specific, pensata in esterni, per i luoghi della vita quotidiana veneziana. E la selezione è stata, a dir poco, piuttosto dura: l’idea-creazione di Pangaro, infatti, è stata scelta dai direttori Stefano Ricci e Gianni Forte tra novanta candidati provenienti da ventuno Paesi. Questa la motivazione: “Qual è il destino dei bolidi che con le loro grosse cilindrate si lanciano a rapidità elevate se non quello dei loro omonimi, stelle cadenti, che si combustionano attraversando l’atmosfera terrestre? In attesa di bruciare, Elia Pangaro, con la sua creazione, ci suggerisce itinerari alternativi provvisti di limiti illimitati di sicurezza, inderogabili e vitali. Con la tessitura della sua performance imbastita tra grammatiche di danza urbana, arte contemporanea e bolle filosofiche, l’artista sembra sussurrarci all’orecchio che abbiamo ancora un momento nostro, che possiamo silenziare il telefono, staccare sveglie e promemoria: restare in ascolto di ciò che accade fuori da noi, sapendo che ci riguarda profondamente come null’altro. Un intervallo per ritornare in possesso del proprio passo, ritornare a noi, uscire dal canale di scolo in cui tapiruliamo immobili”.
Tant’è, “Bolide | Deus ex machina” verrà presentato al 52esimo Festival Internazionale del Teatro: Elia Pangaro sarà assieme all’artista russa Polina Sonis e debutteranno domenica 23 giugno in replica fino al 30 giugno. I suoi lavori precedenti, oltre che in Italia, sono stati già presentati in Thailandia, Messico e Germania. Lo scorso anno ha vinto il premio come miglior danzatore al Corpo mobile festival di Roma.
Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo con Elia Pangaro.
– Iniziamo dal bando vinto: come sta costruendo la sua performance?
Il bando richiedeva la creazione di una performance specifica da creare per uno spazio aperto di Venezia. Ho presentato durante la fase di selezione una “bozza” di 5 minuti e poi, nella seconda fase di selezione, di 20 minuti.
– Il tema?
Sarà una performance sull’accelerazione culturale. Sarò assieme a Polina Sonis. Alterneremo le parti nelle otto repliche.
– Senza anticipare troppo, a cosa si assisterà?
Bolide e Deus ex machina, alla fine, sono semplicemente i due personaggi protagonisti. La performance prevede anche delle immagini. Il bolide è inteso in senso figurato e non in senso della meteora: qui è utilizzato per descrivere mezzi veloci e il concetto di velocità. Il tutto è richiamato anche dal punto di vista estetico con un abbigliamento tecnico coerente in un mix tra motocross e ciclismo con accessori molto colorati.
– Lei si è imposto rispetto a una durissima selezione. Che effetto fa?
Ovvio, sono stato felice perché era un progetto che avevo solo abbozzato a novembre dello scorso anno e accantonato perché non avevo tempo né risorse per produrlo.
– Site specific: cosa significa in questo specifico caso?
La performance si concretizzerà in un sito particolare che sarà via Garibaldi, di fronte all’ingresso di un giardino. Un site specific non è semplicemente una performance all’aperto, può essere benissimo anche al chiuso. Però è una performance creata per uno spazio non convenzionale e non adattato a spazio teatrale o spazio performativo, quindi senza l’utilizzo di pedane come nel teatro, e senza nessuna delle pareti convenzionalmente teatrali.
– Perché proprio Polina Sonis?
Lei è una performer molto particolare e dalla grande presenza scenica, con un viso e occhi che catturano e delle qualità fisiche molto particolari. Ha iniziato con un primo approccio con la danza del ventre anche livelli alti, di competizioni nazionali che le hanno lasciato delle doti fisiche molto particolari. Questa performance l’avevo pensata per lei fin dall’inizio.
– Ci racconta come è iniziata questa sua brillante carriera?
Con un percorso di specializzazione triennale in tecniche urbane alla scuola Nation of human arts sotto la guida di Omid Ighani e Marisa Ragazzo. Poi, tra il il 2016 e il 2019, mi sono perfezionato all’InNprogress atelier di Perugia e nel 2021 ho completa il percorso intensivo Proficiency in advanced dance and healing arts focalizzato su danza e pratiche curative con l’arte. Dal 2014 faccio parte della compagnia di danza urbana InNprogress collective diretta da Afshin Varjavandi.
– Giorgio Pangaro, suo padre, figura di riferimento del TSU, non amava…per così dire, la tv. Le è tornata in qualche modo utile questa “privazione”?
Sì. La performance è proprio incentrata sull’opposizione all’accelerazione tecnologica distruttiva socialmente per la quantità di informazioni che ci arrivano.
Diciamo che mio padre è stato un filtro molto utile in questo senso.
– Restando, se posso, al personale: i suoi genitori sono contenti di lei?
La mia famiglia mi ha sempre spinto e supportato sotto questo punto di vista e con mia madre e mio padre mi confronto spesso su quello che faccio. E’ una grande opportunità, una fortuna.
– Lei è la dimostrazione che l’arte la si può nutrire anche in provincia…
Oltre al contesto familiare, ho avuto l’opportunità di incontrare la persona giusta, Afshin Varjavandi, che mi ha portato fin da quando ero giovanissimo in teatro e mi ha cresciuto sotto questo punto di vista. Ho iniziato a studiare con lui quando avevo 11 anni e poi a 16 sono riuscito a lavorare professionalmente con lui anche all’estero. Non avendo un percorso accademico né studi di danza o teatro canonici, in un certo senso ho avuto la fortuna di incontrare persone con una visione specifica e competente che hanno alimentato la mia visione e passione per la danza.
Sono convinto che ci sia qualcosa di personale, dentro di noi, che ciascuno indaga per proprio conto e che merita di essere in qualche modo tirato fuori.
– Per rimanere ai confini municipali, le piacerebbe portare a Perugia questa sua performance “veneziana” e, nel caso, dove?
Al Chiostro Sant’Anna. Magari anche in notturna; da piccolo ci andavo a vedere degli spettacoli.
E noi, da provinciali, diciamo: che bello sarebbe, Elia.