In questa domenica di grande fermento per il nostro Paese chiamato a decidere un pezzo del futuro prossimo del nostro Paese e dell’Europa, ci mancherà da subito la sua arguzia, la sua analisi franca e sinceramente di parte del post voto. Poi, con il trascorrere delle ore, mancherà al giornalismo non solo politico, e allora sentiremo l’assenza di quelle descrizioni con le quali parlava di costume e costumi che magistralmente faceva indossare a a fatti, a genti, a protagonisti e anonimi. E la cultura rimpiangerà il suo stile di scrittore, pur restando le sue venti opere, l’ultima delle quali pubblicata lo scorso anno: “Il lato fresco del cuscino. Alla ricerca delle cose perdute”. Ci piace ricordare quello che il libro annunciava, nelle note della casa editrice Feltrinelli, premonitrici di un testamento redatto alla sua maniera: ironico quanto basta, entusiasmante come le riflessioni che innesca e servono al lettore.
“Le nostre vite sono segnate da oggetti che rimangono impressi nella memoria, come a scandirla con visioni e suoni che sembrano rimasti lì, a fissarci per sempre. Vittorio Zucconi affronta senza paura questo viaggio nel ricordo e ricuce i momenti di una vita popolata da personaggi straordinari. Così le cose si animano e animano la scrittura: ci sono il ticchettio della Lettera 22 paterna a cadenzare le insonnie infantili e il videoregistratore Betamax, frutto dimenticato di anonimi ingegneri della Sony, per sfuggire alla noia asfissiante dei plumbei inverni sovietici. Ci sono i dibattiti metafisici sulla piadina perfetta di Milano Marittima e l’aereo scalcagnato della campagna presidenziale di Bush, che sembrava a ogni momento sul punto di schiantarsi ma in cambio offriva un posto in prima fila nello spettacolo della democrazia. E poi c’è l’ossessione ricorrente, la ricerca “illusoria e passeggera” per eccellenza, quella del lato fresco del cuscino. Che può essere un ricordo di bambino – le vacanze in Romagna, l’afa dell’Adriatico e i letti intrisi di sudore – o l’alba della liberazione di Kuwait City, mentre in un albergo rovente di Dammam si cercava solo di dormire e non pensare alla “madre di tutte le guerre”. Un’avventura nella memoria, una ricerca archeologica che diventa il romanzo di una vita, con quel poco di nostalgia in cui tutti ci possiamo riconoscere, ma che qui è ammaestrata dall’ironia del giornalista di razza. Una vita raccontata attraverso i suoi oggetti, un viaggio nei ricordi che diventa romanzo”.
A chiudere, riportiamo questa citazione-descrizione tratta dal libro: “Le ultime ore della notte erano il continuo rigirarsi in letti tiepidi e intrisi di sudore, voltando e rivoltando il cuscino alla ricerca illusoria e passeggera del lato fresco.”
Infine, parlano da sole le note professional-biografiche che ci dicono della qualità del suo lavoro a La Stampa, al Corriere della Sera, delle sue corrispondenze dall’estero e, ovviamente, della sua “militanza” a Repubblica testata per la quale ha fondato e diretto a lungo l’edizione online. Ovviamente non poteva mancare la radio, ricordiamo la sua direzione a Radio Capital.
Ci pare giusto e opportuno chiudere con il ricordo che proprio Ezio Mauro ha scritto stamani a poche ore dalla notizia della sua scomparsa, per La Repubblica: “Viveva il giornalismo, non lo interpretava. E infatti il Vittorio privato, quello dell’amicizia, era uguale al suo ruolo pubblico. A cena, in redazione, nei viaggi, negli incontri ogni vicenda, qualsiasi fatto, tutti gli avvenimenti grandi o piccoli di cui si parlava per lui prendevano automaticamente il format del racconto, come se fossero pronti per essere scritti, o addirittura come se fossero avvenuti per finire nella rete del suo giornalismo. Che li reinterpretava rendendoli simbolici, o almeno emblematici, comunque esemplari”.
Parole che, oggi, suonano dolorose e che però ce lo fanno sentire ancora vicino.