Coronavirus, ecco come vincere ansia, stress e paura: lo psichiatra Renato Ariatti

Andrea Rossini, perugino Doc, è un bravissimo giornalista d’inchiesta. Redattore di punta del Corriere Romagna, collaboratore de La Stampa, è anche scrittore: suoi i libri “I delitti di Romagna”, “Vita dopo l’amore” e “Delitto Pantani. Ultimo chilometro (segreti e bugie)” che ha fatto molto discutere.

Andrea Rossini

Sua è l’intervista pubblicata dal Corriere Romagna e che gentilmente concede ai lettori di Vivo Umbria, con Renato Ariatti (nella foto di copertina). Professore e psichiatra forense fu, tra le tante, anche chiamato a stilare la perizia riguardo Anna Maria Franzoni, In questa intervista ci aiuta a fare chiarezza sulle tante illazioni che riguardano gli effetti del coronovirus.

di Andrea Rossini

Ansia, paura del contagio, incertezze, disturbi da stress legati alle restrizioni e alla quarantena. C’è un aspetto positivo?
«Sì, quando tutto questo finirà ridaremo un valore enorme anche alle piccole cose che ci sono state tolte; le davamo per scontate e invece improvvisamente ci accorgeremo della loro importanza, e saremo capaci di goderne. Apprezzeremo anche gli aspetti più semplici dell’esistenza riconsiderando i valori di fondo. Ci sarà perfino da fare attenzione anche all’euforia che si verrà a creare».
La pandemia e le conseguenti misure drastiche sono fonti primarie di stress: ve ne sono altre secondarie?
«Ad amplificare l’ansia ha contribuito la comunicazione, specie quella istituzionale e televisiva. Avrebbe dovuto essere chiara, rigorosa e priva di contraddizioni e invece è stata ansiogena e oscillante. Si è passati da una situazione di sottovalutazione, con messaggi minimizzanti, a una ovvia escalation di preoccupazione che aggiunge ogni giorno una puntata all’inasprimento delle misure. E che dire del bollettino quotidiano con la conta dei morti e dei contagiati? Perfino i depositari della scienza, i virologi, litigano tra loro: i politici di riflesso assumono soluzioni disomogenee, conflittuali e diverse tra Stato e regioni, tra regioni e regioni e tra Stati e Stati. Si rischia di essere sopraffatti dall’oscillazione e dalla contraddittorietà delle informazioni».
L’eccessiva esposizione alle notizie, anche quelle provenienti dai professionisti dell’informazione, causa affaticamento e ansia, ma non è forse il male minore di fronte alla necessità di frenare le fake news sui social?
«L’informazione deve essere chiara, né drammatica né edulcorata. Chi è in preda all’ansia, però, deve sottrarsi alla sovraesposizione, riuscire a filtrare e diluire le notizie, per non diventarne dipendente. I social? In questo momento di solitudine, dove tanti non hanno la possibilità di spalmare in casa la compagnia nel corso della giornata con altre persone, avere degli scambi virtuali è importante. Per confrontarsi e confortarsi. Fino a un certo punto la comunicazione on line riempie il vuoto e la noia, ma si deve evitare il sovraccarico da connessione, l’inondazione dei “file”. Passino i filmati comici, le barzellette, palesi tentativi per esorcizzare il male attraverso l’ironia, ma circolano anche messaggi “terroristici” su farmaci miracolosi e complotti. Le fake news possono aver effetti devastanti su persone non dotate di sufficiente senso critico e minare il loro equilibrio».
E come vede il ritrovarsi tutti fuori come balconi?
«Un esorcismo anche quello. Forme di auto-convincimento che passano attraverso la musica, le canzoni, il ballo, l’esposizione della bandiera. Si tratta di fragili protezioni, anche se l’idea di una parvenza di appartenenza e condivisione può essere funzionale a sentirsi più forti per certi strati della popolazione. Ma sono manifestazioni che, a mio avviso, non sono utili né realmente di aiuto».
Quali consigli per sopravvivere alla quarantena?
«L’incertezza, l’ansia, la paura sono i sentimenti che caratterizzano questa situazione e la solitudine in qualche caso può diventare ossessiva. Le reazioni dipendono dall’indole di ciascuno. Per tutti però è necessario organizzare la propria giornata attraverso degli schemi: danno sicurezza e continuità. La nostra società vive in modo frenetico, tutti presi da mille impegni. All’improvviso ci troviamo a gestire il vuoto, l’inedia. Dallo stress da sovraccarico e da iper-occupazione si passa a uno stress, altrettanto pericoloso, da sottoccupazione. Da mancanza di attività. Diciamo spesso: Che bello potessi stare a casa senza niente da fare. Ma quando accade, con l’eccezione di qualche soggetto che si culla nel suo solipsismo, si sperimenta il disorientamento del vuoto, con ricadute negative sull’equilibrio psicologico. Allora servono nuovi schemi, con le proprie variabili individuali, dove inserire attività trascurate come leggere libri, guardare film: Ma ci si deve sforzare anche di organizzarsi per ritrovare un briciolo di continuità con le attività di prima e per sentirsi impegnati. Alziamoci dal divano per pedalare sulla cyclette, fare flessioni, ginnastica, senza l’ossessione dei pasti».
Usciremo dalla quarantena depressi e con dei chili in più.
«La prima conseguenza dell’ansia e del vuoto è proprio il cambiamento delle abitudini alimentari. Il cibo, così come l’alcol, diventano forme di consolazione. La scansione della giornata finisce per aggregarsi attorno alle tappe alimentari: si beve di più, si mangia di più. Impulsi da frenare, per non compromettere la salute».
E le convivenze forzate?
«La convivenza forzata e la costrizione dentro regole rigide sono fattori di rischio specie per chi ha difficoltà a rispettarle e può avere reazioni rabbiose e violente. Non è un segreto che molte relazioni funzionano quando la coppia conserva spazi di libertà e autonomia. L’effetto, quando invece della qualità del tempo subentra la quantità forzata, è quello analogo a certi viaggi in barca nei quali la gente litiga e si detesta dopo qualche giorno».
Uno stress senza pari è quello dei medici.
«Chiamati a un impegno straordinario affrontano lo stress senza pagarne le conseguenze. Il confronto con la morte fa parte della professione medica. Il problema è quando riguarda i tuoi stessi colleghi: non si ha la garanzia di essere protetti. È probabile che il crollo per loro sarà spostato più avanti, quando avranno tempo per pensare. Rischiano la sindrome da esaurimento quando tireranno il fiato. Avranno difficoltà a elaborare il lutto anche i parenti dei pazienti morti che non hanno potuto salutare adeguatamente i loro cari: a livello inconscio patiranno dei sensi di colpa, anche se niente è dipeso da loro».
 

Riccardo Regi: Direttore di Vivo Umbria, Perugino, laureato in Lettere, giornalista professionista dal 1990, vice direttore dei Corrieri Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo, Rieti per 18 anni.