PERUGIA – Eccoci qua. La pandemia, perché di questo ormai si tratta, sta dilagando a macchia d’olio e l’unica modalità per cercare di arginarla, in assenza di qualsiasi altro mezzo, è quella dell’isolamento, dell’interdizione delle zone rosse e dei divieti ormai estesi a tutto il territorio nazionale. Noi italiani, idiosincratici ad ogni regola, che ci prendiamo beffe di ogni legge per aggirarla e per non rispettarla, noi che siamo capaci di infervorirci contro chi prudentemente consiglia di sospendere i campionati di calcio e riempirlo di improperi, siamo i più esposti al contagio per nostra stessa indole, insofferenti al civismo, a ragionare nel senso di una comunità, perché abbiamo in noi innata l’idea che tutto quel che è pubblico valga poco o nulla. Comprese le regole del vivere civile. Sarebbe troppo lungo in questo contesto cercare di spiegarne le ragioni che pure affondano nella nostra storia, le motivazioni antropologiche e sociali che hanno determinato questo atteggiamento che va a ledere profondamente anche la nostra dignità. Non è dignitoso infatti il quadro che si sta profilando che alla verticalità del diffondersi del Coronavirus, alterna anche una trasversalità generazionale. Ragazzi, questa è ormai una guerra, una guerra subdola contro un nemico invisibile che non conosce frontiere e pertanto più temibile. E chi rifiuta le logiche della guerra dove è necessario compattarsi per osteggiare l’avanzata del nemico, probabilmente non ha ben capito la situazione. In questi giorni è stato ripetuto più e più volte che l’emergenza si prospetta non tanto nel diffondersi del virus, ma nell’effettiva capacità delle strutture sanitarie per fronteggiarlo, mano a mano che progredisce e include un crescente numero di persone. In questo quadro ciò che più spaventa è il fatto che gli operatori sanitari ben presto, come sta già accadendo nella zona rossa di Milano, saranno costretti a operare scelte su quali pazienti siano candidati alle cure e quali no. In questo caso si parla già di un barrage per chi ha meno o più di 60 anni. Vale a dire che sarà stabilito il diritto alle cure in base ad un criterio spietato ma necessario in tempi di emergenza soltanto per chi è più giovane, lasciando gli altri al loro destino. E’ una guerra, si diceva, e come tale presuppone dei criteri di selezione, una selezione generazionale che ricorda da vicino la selezione razziale, sul rifiuto della quale è stata fondata la nostra Costituzione. Ora, tutti siamo stati giovani, molti di noi baby boomer ancora lo sono e, intendiamoci bene, nessuno di noi ha intenzione di morire per uno spritz in compagnia che molti dei nostri ragazzi continuano a concedersi incuranti degli appelli che in questi giorni sono stati lanciati dalle autorità, fregandosene del fatto che sarebbe meglio stare in casa ed evitare ogni contatto con altre persone. Tutti siamo giovani e tutti abbiamo diritto di vivere la nostra vita sino alla fine, tanto più che ogni fase della vita ha qualcosa di importante da insegnare, e ribolle in me il solo pensiero che il fine di questo virus sia quello di una selezione naturale della specie. Non credo sia questo quel che ci voglia suggerire, semmai l’esatto opposto, vale a dire il richiamo ad una assunzione di responsabilità, alla creazione del senso della comunità che si amplia a tutta la specie umana. Prendiamo il caso dell’Umbria. Il sistema sanitario regionale è al momento in grado di far fronte a circa 40 richieste di terapia intensiva considerando le quindicina di posti nel Perugino, i 10 nel Ternano e circa 15 che nel frattempo sono stati allestiti con le unità di crisi. La capacità di affrontare l’emergenza con la terapia intensiva è decisiva perché sappiamo con certezza che la sintomatologia del Covid-19 è quella dell’insufficienza respiratoria, vale a dire i polmoni, in caso di contagio, devono essere supportati nella respirazione dai ventilatori ausiliari sino al ricorso all’intubazione e a quando la crisi non cessa. La terapia può andare avanti per giorni e questo significa che quel posto di terapia intensiva può rimanere bloccato per giorni interi. Sinora in Umbria sono stati accertati una trentina di casi di contagio, 37 secondo l’ultimo aggiornamento, di cui 10, i casi più gravi, ricoverati in ospedale, ma la situazione è destinata a peggiorare drasticamente nei prossimi giorni, in Umbria come nel resto d’Italia, e probabilmente ben presto quei 40 posti di terapia intensiva diverranno insufficienti per far fronte alla richiesta. Questo significa che forse nei prossimi giorni anche in Umbria, in caso di estrema emergenza, potrebbe venir adottato il criterio della “selezione della specie”, abbandonando gli ultrasessantenni al loro destino. Questo è il quadro della situazione, non dimenticando che bambini e ragazzi non sono immuni dal contagio che in loro si manifesta con una sintomatologia molto lieve, ma che al contempo possono diventare “mezzi” di contagio grave per le persone più anziane, genitori e nonni ad esempio. Per questo è di fondamentale importanza la chiusura delle scuole, anche se ciò che più conta in questo momento è il richiamo al massimo senso di responsabilità e civismo.