PERUGIA – Al direttore artistico di Umbria Jazz non piace il clima che si è creato in questi giorni in riferimento ad episodi che non vuole specificare (“tutto verrà fuori al momento giusto”), intanto si dice sorpreso che ci si meravigli del successo dell’edizione appena conclusa.
Perché domenica non era presente alla conferenza stampa finale. E’ stato detto in conferenza che ha avuto un lieve malore e che non ha potuto partecipare. Conferma o no?
“Diciamo no comment. In questo momento- risponde Carlo Pagnotta – io non parlo, al momento giusto potranno venir fuori certe cose. Sono successe delle cose improvvisamente”.
Allora c’è una motivazione alla sua assenza che non è il malore…
“C’è solo un clima che a me non piace. Ma non c’è niente di strano. Non è il momento di fare polemiche, visto il successo della manifestazione. C’è una cosa che mi meraviglia, posso capire i due anni di pandemia. Ma nel 2019, sbaglio o abbiamo fatto il record di incassi e di presenze? Sembra che sia la prima volta che c’è Umbria Jazz. L’anno passato Umbria Jazz era “monca” perché non c’erano i concerti gratuiti e la città non poteva essere affollata. Quest’anno ci hanno fatto fare le stesse cose che facevamo fino al 2019. Dalle prevendite si capiva che sarebbe andata bene. E’ andata meglio?”
E’ sicuramente andata meglio del previsto, almeno stando alle previsioni che erano di 22.500 biglietti venduti, mentre invece il risultato finale è stato di 27 mila biglietti venduti.
“Stiamo nella media dei festival pre-pandemia. E’ andata meglio del previsto, perché ci ha anche aiutato il tempo, qualche artista ha realizzato più del previsto, perché ad esempio Herbie Hancock con Chick Corea non avevano fatto questi numeri”.
Forse ha influito il fatto che la gente è tornata ad aver voglia di divertirsi…
“Il brand di Umbria jazz ha sempre funzionato. Nel 2018 c’è stato un festival di successo, l’edizione di Quincy Jones e company. Nel 2019 è andata ancora meglio con record di incassi di presenze. Furono date 500 mila presenze e oltre un milione e mezzo di incasso. Poi c’è stata la pandemia. Adesso che la pandemia se n’è quasi andata, abbiamo ricominciato a fare Umbria Jazz come una volta e abbiamo ricominciato la serie di Umbria Jazz che un anno può andare bene e un altro può andare meglio. Dobbiamo fare in modo che non vada mai peggio. Tutto qui”.
Quindi si sorprende che c’è tanta meraviglia attorno al successo di Umbria Jazz?
“Il discorso che c’è tanta meraviglia, vale a dire che se tu riesci a fare Umbria Jazz nella maniera giusta, non ci si deve meravigliare. Se noi avessimo avuto un altro artista che fa cassetta come l’ha fatta Beck con Johnny Depp avremmo raggiunto i paganti del 2019, avremmo fatto un altro record. Le serate? Prendiamo ad esempio le serate. E’ andata male la serata cubana? E’ che in Italia il pubblico segue solo agli artisti che conosce, mentre Cimafunk sta facendo sconquassi in tutta Europa e qui eravamo in pochi. Eravamo in pochi anche la sera di Shabaka Hutchings (The Comet is Coming); un pochino di più, ma non molti, la serata con Cory Wong che è uno che fa il pieno al Madison Square Garden. Poi arrivano i grandi nomi e tutto va a gonfie vele. E noi facciamo numeri superiori a città più grandi a quelle di Perugia, allora questo significa che il brand Umbria Jazz tira”.
Ma si intuisce che c’è qualcosa che non va, ma non si capisce il nocciolo della questione. Si intuisce che c’è un contrasto tra la Fondazione e la direzione artistica. Probabilmente una diversa visione o una diversa interpretazione dei fatti. Probabilmente la direzione artistica risente del fatto che qualcuno pensa di poter affiancare a Pagnotta qualcuno che non è gradito a Pagnotta?
“Questo ancora non l’ho sentito dire, perché se lo sentissi dire prenderebbe un bel vaff… A me non affianca niente nessuno. Semmai mi affianco. Scelgo io chi mi deve affiancare anche perché l’età passa per tutti. Normalmente alla mia età la gente sta ai giardinetti…”.
Certo, anzi complimenti per come Pagnotta tiene la scena. Credo che tutti siano disposti e disponibili a farli questi complimenti.
“Io li accetto facendo i dovuti scongiuri. Ricordiamoci che il mio maestro si chiamava George Wein (direttore artistico del Newport Jazz Festival ndr), è morto un annetto fa e aveva 96 anni. Io non pretendo questo, ma questo dell’affiancare qualcuno a me non l’ha mai detto mai nessuno”
Credo che sia solo un’ipotesi
“Sono osservazioni giuste ma vanno fatte nel momento e nel luogo giusto. Certi interrogativi sui giornali provengono da un sentito dire, ma il problema è anche il mio ovviamente…”.
Quindi smentisce che c’è in atto un confronto con la Fondazione sull’ipotesi di un affiancamento alla direzione artistica
“Non se n’è mai parlato. Ho sempre detto che, dagli anni Novanta, vado avanti negli anni. Ma c’è già un pool che affianca Pagnotta, formato da Manuele Morbidini che è un “mostro” di musica classica e jazz e mi sembra che diriga da anni l’orchestra di Umbria Jazz alla grande e ve ne accorgerete a Orvieto. Poi c’è Annika Larsson che tiene contatti con le agenzie importanti. Poi c’è il signor Enzo Capua che sta a New York e che è sempre sul pezzo e con il quale ci sentiamo tre-quattro volte alla settimana per progetti. L’anno scorso c’era Samara Joy, se ne sono accorti solo quest’anno; Cécile Mclorin Salvant per la prima volta ha cantato a Orvieto, Gregory Porter ha cantato per la prima volta a Orvieto. Tanti artisti dagli Usa ha proposto Umbria Jazz, perché c’è gente che lavora per Umbria Jazz a New York come c’era il povero Gary Edwards che lavorava e portava gente che costava poco e aveva successo da New Orleans. Purtroppo, a causa del Covid, ci ha lasciato. Voglio dire, gente come Tuba Skinny, gente come Shake ‘Em Up Jazz Band, le sei signore che facevano le quote rosa e la musica di New Orleans: non tutti i festival se lo possono permettere. Certo, dove li fai? Li fai gratuiti nelle piazze. Nel 2019 abbiamo fatto per la prima volta Via della Viola e l’abbiamo rifatta. Appena c’è stata l’occasione di rifare Umbria Jazz come si deve, ecco il risultato”.