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Carlo Favetti: “Le festività natalizie anni 60/70 nel Paese delle Rocche: tradizioni, pampepato e ricordi”

Visto l’approssimarsi a grandi passi delle festività naralizie, pubblichiamo questo ricordo-racconto breve del nostro Carlo Favetti.
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Le festività natalizie anni 60/70 nel Paese delle Rocche:
tradizioni, pampepato e ricordi
di Carlo Favetti
In occasione della festa dell’ Immacolata, e quindi con l’ approssimarsi delle festività natalizie, era tutto un fermento di iniziative e lo spirito della festa accendeva gli animi di tutti, soprattutto di noi ragazzi che, di fantasia, ne avevamo abbastanza per divertirci.
Tradizione vuole che per l’otto dicembre, per onorare il passaggio della Santa Casa  della Madre di Gesù verso Loreto, si facciano i cosiddetti focaracci, per illuminare la notte. Da noi, invece non usa fare questo, bensì i botti, (non i mortaretti o i rauti come avviene oggi). Infatti, noi ragazzi, amavamo fare i botti … con i bulloni in ferro. Chi aveva il bullone più grande era il capo. Eravamo una bella squadra di sparatori: oltre a me, Luigi e Angelo Morbidoni, Renzo Rossi, i Gemelli Renzo e Renato, Roberto Marchi, Moreno Cirillo, Giuseppe Giuntini, Giovacchino Mirabelli, Paolo Conti, Marcellino Luzzi, Leo Cirillo; poi anche i più grandi Danilo Scorsolini, Roberto Ridolfi, Euri, Massimo Falconi, Giocondo Giacomelli.
Insomma a Matterella c’era una bella squadretta di sparatori che non faceva passare un istante delle giornate senza i botti. Zolfo e potassio tritati per bene poi, messa un po’ di polvere, avvitato e svitato per qualche secondo il bullone,  il tempo che il preparato pirico fosse assorbito dalla vite e dal dado, ecco il lancio in aria e, all’urto con la terra, avveniva il botto: più grande era il bullone, più la deflagrazione era assordante. Il bullone più potente era quello di Leo Cirillo, dato dal padre Giuseppe (piacchione) lavorava all’epoca presso l’Enel; poi venivano tutti gli altri bulloni, alcuni recuperati dai guard rail lungo la strada. Il mio bullone era invece delle ferrovie, me lo regalò zio Giovanni Fucili, recuperato tra il materiale di risulta della stazione di Terni. I nostri genitori  erano restii a questo divertimento, considerato da tutti molto pericoloso. Lo zolfo era facile recuperarlo, il potassio no; solo la farmacia lo vendeva in pasticche e, quindi, occorreva un adulto, comunque maggiorenne, per acquistarlo. In quei tempi, la farmacia di Ferentillo era gestita dalla dottoressa Betti. La prima donna che andava in giro per il paese in motorino. Aveva una mentalità assai aperta ed era molto espansiva: capelli bianchi, di bassa statura, rossetto sempre sulle labbra.  Una donna di cultura, era preparatissima nella sua materia. A volte i paesani ricorrevano ai suoi consigli medici. Era in simbiosi con il dottor Pierluigi Rubino, il medico condotto. Bene, la dottoressa Betti, non faceva problemi a venderci quelle pasticche. Ne ha vendute tante, a non finire. Aspettavamo la chiusura della farmacia e, dal retro, ci siforniva. Finché, un giorno, ci comunicò che bisognava stare un po’ accorti, perché sia Michele Giuggia (la guardia municipale), che il maresciallo dei carabinieri  l’avevano richiamata all’ordine. Alcuni cittadini avevano protestato per i botti troppo forti, (ciò non sarebbe più avvenuto se non ci fosse stata la vendita del potassio). Ma la dottoressa, in barba a tutto e tutti, continuava a vendere quelle pillolette, che per noi erano essenziali allo scopo. Tra di noi si era creato anche un tipo di “mercato nero”: c’era chi se le rivendeva ad un prezzo maggiore…succede sempre cosi, in ogni cosa, siamo italiani. La Madonna de’ li bulluni passava e le feste natalizie si avvicinavano, con tutto il loro stupendo clima. Era una gioia se nevicava… ma accadeva raramente. Si pensava per lo più alla preparazione dei dolci natalizi. Le sere, dopo cena, con mamma e zia Maria schiacciavamo le nocchie e le noci, si grattava il cioccolato fondente, si tagliavano i verdi candidi a pezzetti e si sgusciavano le mandorle: il tutto, per preparare i pampepati. Era una gioia vedere le donne della mia vita dimenarsi in cucina indaffarate, a volte veniva anche zia Giacinta ( lei era bravissima a fare i picchittini dolci). Lola forniva tutto il materiale necessario per i pampepati. Lei era sempre al negozio e non aveva tempo per farli. Io e Euri  partecipavamo a questa preparazione dei dolci. Euri preferiva grattugiare la cioccolata fondente, era una occasione allettante per lui,  ghiottonissimo, tanto che a volte si sentiva anche male.
In un tempo in cui tutto era bello, il periodo che precedeva le feste  natalizie nei piccoli centri accendeva nell’animo di ognuno tanta felicità, bontà, bellezza. Sempre verso il 15 dicembre, di pomeriggio, don Mario ci caricava sulla sua fiat 750 bianca, muniti di scatoloni (quelli dei moccolotti di cera che vendeva in chiesa) per andare a raccogliere il muschio sulla strada che va ad Ancaiano, per realizzare il presepe alla chiesa di Santa Maria. Euri ed io lo raccoglievamo anche per il nostro, da realizzare in casa. Era bello il presepe in chiesa ma  lo facevano loro, ossia Giocondino, Roberto, Euri, Massimo. A me non mi  volevano…quel presepio doveva essere fatto solo da loro, i chierichetti grandi. A me dispiaceva molto. Ero convinto che la “raccomandazione” di Euri avrebbe fatto effetto sugli altri, invece nulla; il presepe a Santa Maria era il loro e, quindi dovevo accontentarmi di realizzarlo a casa, sull’angolino della sala, con le statuine di Gabriella che mi aveva regalato la sua mamma Ada, moglie del medico veterinario Sefano Rotili. Don Mario mi dava ogni volta il tavolinetto celeste per realizzare il presepe e, io in cambio, barattavo con un pampepato. Il mio presepe era bello, anche se di piccole dimensioni. Euri a casa sua lo faceva grande sotto il carrello della televisione. A volte ci scambiavamo le statuine, lui ne aveva molte, perché la mamma Lola le vendeva su al negozio; poi, mi regalava la carta stellata, ogni anno, per il cielo. In quei giorni l’odore dei dolci invadeva tutto il palazzo. Oltre ai pampepati, mamma e zia Maria facevano anche le tortelle; i mostaccioli a forma triangolare e l’immancabile nocellata con le noci tritate e miele che, poi, mettevano distese sulle foglie di alloro. Dolci che mamma e zia facevano in grande quantitè, in quanto Lola, in quel periodo, aveva come ospiti da Firenze la sorella Franca e il cognato Egidio Vittori; a loro piacevano molto questi dolci, e lei voleva fare belle figura.
Il periodo era propizio anche per le scuole. Recite a non finire. Ogni classe aveva il suo albero e presepe, cartelloni con disegni, poesie. La maestra Silvana Silvani  organizzava le recite al salone, la mia maestra Regina Argenti si occupava del coro, le altre, Elvira Pileri e Giuliana Cardona,  le coreografie. Per due anni consecutivi, a tutti noi bambini delle scuole elementari (ed eravamo tanti), fu data la strenna natalizia  da parte di Madre Lisa Salvatori detta la Mammina (la fondatrice delle Suore Oblate della Sacra Famiglia) L’ ordine religioso di Roma che andò a sostituire l’altro del Buono e Perpetuo Soccorso. Madre Lisa, ristrutturò e ampliò l’asilo a Matterella e, sul retro, edificò un altro stabile destinato a casa parrocchiale e ospizio per gli anziani. Ricordo nel tempo, le suore Maria Arcangela, Giulietta, Antonietta  Vera, Tiziana e una maestra laica, Rossana. Procuratore era Emilio Argenti, presidente dell’ Associazione Combattenti e Reduci di Ferentillo. Altro sostegno la Mammina  lo ebbe dall’allora sindaco Bruno Pastadolce; fondò altre due case religiose una a Bevagna e un’altra a Cerreto di Spoleto. In questo ultimo paese, il comune alla Mammina, dedicò a sua memoria una via, così anche a Sorella Vera.
Le feste erano iniziate. A otto anni i regali non erano come quelli di oggi: computer, cellulari… Aspettavo trepidante la mattina dei sei gennaio, l’Epifania, (data anche del mio compleanno) per vedere cosa la Befana mi aveva portato e se ciò che avevo richiesto con la letterina era stato esaudito. A volte sì, a volte qualcosa, la Befana se lo  era perso per strada. Un paio di giorni prima mettevo la letterina sul gancio della catena del caldaio nel camino, mi affacciavo e guardavo all’interno della cappa che era tutta nera di fuliggine e chiedevo a nonna Adelina: “Come farà la befana a passare per questo cunicolo così stretto e nero? ecco perché e’ tutta sporca di carbone in viso!“. Continuavo a guardarla ma non mi rispondeva, accennava un sorriso bello, a tratti malizioso, nascondeva qualcosa, ma io ero tanto preso da quello che doveva accadere il giorno sei, che non ci facevo caso. E fu così che quella mattina scendevo dal letto di corsa, subito in sala vedevo che la tazzina del caffè, le fettine di pampepato erano state consumate dalla Befana,  il fieno per il somarello era sparito, quindi…la vecchiarella era arrivata anche per me (con tutte le birichinate che avevo fatto in quell’anno, credevo che se ne fosse proprio dimenticata… e invece no!). Aprii piano piano la porta della cucina e, con mia meraviglia, il tavolo era stracolmo di giocattoli. Che dire della gioia immensa di zia Maria che mi aveva seguito piano piano da dietro. Sentivo gli auguri di buon compleanno che nonna ripeteva dal suo letto e non vedevo però mamma e papà, loro ancora nel letto, facevano finta di dormire. E le campane che suonavano per la prima messa? Era tutto una magia che si era trasformata in realtà. E tanti furono i miei regali di quell’anno 1969: l’ Acciaieria, dove lavorava papà con la ditta So.te.tu (Società Terni Tubazioni), regalò un tavolinetto con lavagnetta e sedile per fare i compiti a casa; la Befana di zia Luigina Sapora e zio Ennio Riffelli un flipper con le biglie di acciaio. Sacchetti di cioccolatini e torrone della Perugina; zia Giacinta l’ombrello, i calzettoni, quaderni, colori e penne; la Befana di Lola un intero completo con le pistole dentro i foderi, il cappello e la stella da sceriffo; poi, vicino, c’era anche un sacchetto con le schicchere di vetro coloratissime dove c’era scritto un biglietto: la befana di Euri vuole giocare ancora con te. Un maglioncino verde con scollo rotondo lo aveva lasciato la Befana del dottor Rotili; caramelle,  cioccolatini e tanti torroncini erano ovunque. Ma c’era anche una lettera sopra al camino dove la Befana aveva risposto alla mia missiva appesa alla catena del caldaio… zia Maria me la passò e lessi: “Grazie per il caffè e il pampepato. Questa volta sei stato perdonato da tutte le marachelle che hai combinato. Cerca di essere un bravo bambino. Obbedisci sempre ai tuoi genitori e studia, perché la prossima volta, a posto di tutti i regali che vedi oggi sul tavolo, ci sarà solo cenere e carbone. Auguri per il tuo compleanno, la Befana”.
Nella foto di copertiuna particolare di La carovana dei Magi di Perino Cesarei – 1557 affresco. Santo Stefano a Precetto

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