Cai Gubbio – Itinerario: I monti di Gubbio

IL MONTE INGINO: DAI DINOSAURI AL MEDIOEVO

UN PERCORSO TRA STORIA, NATURA E SPIRITUALITA’

 

L’ITINERARIO

Si parcheggia nella zona ovest della città nei pressi del Teatro Romano, si accede in città attraversando le mura e si raggiunge facilmente l’antico quartiere di S. Martino proseguendo verso la porta di S. Croce dove c’è l’ingresso al parco Ranghiasci, realizzato nel 1830 dal marchese Francesco Ranghiasci sotto la spinta della moglie inglese Matilde Hobhouse. Si esce nei pressi del Palazzo Ducale e dei giardini pensili e si continua a salire passando di fronte la Cattedrale per arrivare alla Porta di S. Ubaldo (m 595), situata sul lato a monte delle mura urbiche. Si seguono gli “stradoni” che conducono alla basilica di S. Ubaldo (sentieri n. 251-257). Arrivati alla basilica si continua a salire per arrivare alla Rocca medievale (m 902) sita sulla cima del M. Ingino. Si segue il crinale per arrivare ai ruderi della seconda Rocca e quindi scendere verso il Parco di Coppo sullo stesso sentiero n. 257. Arrivati sulla strada provinciale in corrispondenza di un incrocio si può raggiungere il bar ristorante (m 785) seguendo la strada asfaltata. Da qui si ritorna sul sentiero n. 251 che di fronte al bar sale nella pineta attrezzata con tavoli e panche e si continua per poi per arrivare all’incrocio con il sentiero n. 255 (m 834). Si gira a sx per arrivare dopo circa 200 m ad una radura che si attraversa tenendosi sulla dx ai limiti della pineta, per poi scendere ancora a dx nel bosco. Dopo circa 100 m si gira di nuovo a dx seguendo il sentiero ora pianeggiante che costeggia il pendio boscoso per poi scendere fino ad una strada asfaltata che dopo pochi metri di salita finisce ad una nuova costruzione rotondeggiante “Fornacette” (m 690). Si continua diritti lasciando il fabbricato sulla sx per scendere sul sentiero retrostante che porta sulla strada statale vicino al bivio per la basilica di S. Ubaldo. Si segue la strada asfaltata in discesa per giungere prima ad una piazzola dopo un ponte da dove si diparte il sentiero n. 260 e quindi all’invaso del “Bottaccione” (m 590). A sx dello sbarramento un nuovo cavalcavia in ferro porta all’inizio dell’acquedotto medievale, bellissima opera d’ingegneria trecentesca perfettamente conservata e recentemente riaperta al pubblico e dotata di parapetto di sicurezza. Il sentiero segue l’intero acquedotto, aprendosi gradatamente ad una stupenda vista su Gubbio con a dx, sul lato opposto della valle, l’eremo di S. Ambrogio, per arrivare dietro alle alte mura medievali. Si prosegue diritti dietro le mura risalendo il pendio fino al Cassero ed infine si scende alla Porta di S. Ubaldo.

 

DESCRIZIONE TECNICA DEL PERCORSO

 

 

 

 

 

 

 

SVILUPPO COMPLESSIVO: km. 10

DISLIVELLO: + 450 metri in salita /- 450 metri in discesa

DIFFICOLTA’: E (escursionistico)

TEMPO DI PERCORRENZA: ore 4 (escluse soste)

SEGNALETICA: bianco/rossa CAI

PARTENZA e RIENTRO: Parcheggi zona Teatro Romano

CARTA: Carta dei Sentieri – CAI Gubbio

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IL MONTE INGINO

Un suggestivo giro ad anello intorno alla montagna sacra per gli eugubini: il Monte Ingino. Passando per la basilica di S. Ubaldo, si sale fino alla Rocca medievale e si ridiscende percorrendo l’acquedotto medievale nella gola del Bottaccione, sito di rilevante interesse paleontologico.

Gubbio sorge ai piedi del Monte Ingino legato a S. Ubaldo, patrono della città la cui storia si è sviluppata attorno a questa montagna che raccoglie interessanti siti paleontologici e opere medievali, a partire dalle rocce della gola del Bottaccione che raccontano della scomparsa dei dinosauri. Nella stessa vallata è presente un bellissimo e ben conservato acquedotto medievale sul quale cammineremo, a strapiombo sulle rocce e con un panorama stupendo verso l’eremo di S. Ambrogio fino a scoprire a poco a poco la città dall’alto delle mura e al di sopra dei suoi palazzi storici. Prima però saliremo alla vetta del monte lungo “gli stradoni” che vedono ogni anno “i ceraioli” portare il loro omaggio (I Ceri) al santo patrono che riposa nella basilica di S. Ubaldo, poco sotto la cima dove vi sono resti dell’antica rocca medievale a guardia della città.

LA FESTA DEI CERI

Filmato tratto da “1973-2013 Il simbolo dell’Umbria ha Quaranta Anni”, TeleCRU Consiglio Regionale dell’Umbria

E’ un solenne atto ispirato a devozione degli eugubini al loro Vescovo Ubaldo Baldassini, dal maggio 1160, anno della sua morte. Da allora, ogni 15 maggio, giorno della vigilia del lutto, l’offerta devozionale al Santo Patrono divenne un appuntamento fisso per il popolo eugubino, che avrebbe partecipato, in mistica processione, ad una grande “luminaria” di candelotti di cera, percorrendo di corsa le vie della città fino al Monte Ingino. I candelotti di cera, offerti dalle corporazioni di Arti e Mestieri, probabilmente divennero nel tempo tanto consistenti da renderne difficoltoso il trasporto e furono sostituiti verso la fine del ‘500 con tre strutture di legno, agili e moderne, che – più volte ricostruite – sono, nella loro forma originaria, arrivate fino ai nostri giorni.

LA BASILICA DI SANT’UBALDO

Custodisce il corpo del santo patrono di Gubbio. Fu edificata su una preesistente piccola chiesa dedicata al santo e sulla pieve dei santi Gervasio e Protasio. I lavori iniziarono nel 1513, con il sostegno delle duchesse di Urbino, Elisabetta ed Eleonora Gonzaga, e del papa Giulio II. La chiesa fu affidata ai canonici regolari lateranensi, ordine a cui era appartenuto il santo. Dal 1786 la basilica fu retta da padri passionisti, fino alle soppressioni napoleoniche, e in seguito dai frati minori riformati, dal 2013 i sacerdoti diocesani hanno la custodia della basilica. L’esterno del santuario è sobrio; alla sommità di una ampia scala, un portale introduce all’interno, dove si apre un ampio chiostro in laterizi, con arcate e volte a crociera, nelle cui lunette si intravedono i resti di affreschi cinquecenteschi. Cinque porte introducono alla chiesa; le tre centrali presentano i portali in pietra serena scolpita e i battenti originali in legno intagliato. L’interno è suddiviso in cinque navate, dominate dall’altare maggiore realizzato nel 1884, in stile neogotico con decorazioni a finto mosaico. Nella parte superiore dell’altare sono collocate otto piccole statue raffiguranti santi legati alla città, e al di sopra è posta l’urna in cui è custodito il corpo intatto di sant’Ubaldo. Nella chiesa sono esposte anche le urne precedenti, una risalente al XIII secolo, l’altra al XVIII. Nella basilica sono riposti durante l’anno i Ceri. La prima domenica di maggio vengono trasferiti in città ed esposti nel Palazzo dei Consoli, indi il 15 maggio, con la corsa, sono portati in processione attraverso Gubbio e poi, lungo la salita al monte Igino, fino al santuario.

L’EREMO DI SANT’AMBROGIO

Le notizie storiche del romitorio risalgono all’anno 1331, anno in cui fu edificato o restaurato ed il Vescovo Eugubino, Pietro Gabrielli, lo eresse in priorato dopo avervi radunato tutti gli eremiti sparsi nelle vicinanze di Gubbio; successivamente nel 1342 lo stesso Vescovo diede agli eremiti la Regola di S. Agostino elevando detto priorato in Monastero. Elemento paesaggistico di notevole effetto, conserva all’interno della chiesa del monastero il corpo incorrotto del B. Arcangelo Canetoli (+1513), bolognese di nascita. Nella stessa Chiesa riposano dal 1591 anche i resti mortali del Vescovo Agostino Steuco, famoso giureconsulto, filosofo, storico, teologo, bibliotecario apostolico e segretario del Concilio di Trento.

L’ACQUEDOTTO MEDIEVALE 

Parte del percorso si sviluppa sull’acquedotto medievale la cui costruzione venne stabilita con deliberazione del Consiglio Comunale del 20 gennaio 1327: “L’acqua della vena che è alla base di quella roccia che si trova (…), venga convogliata con un acquedotto, all’acquedotto che porta l’acqua alla Fonte dell’Arengo”. La fonte si trovava davanti ai Palazzi pubblici, che fino ad allora erano dislocati nella parte alta della città, in seguito occupata dal quattrocentesco Palazzo Ducale e dal relativo Cortile. L’opera contribuì ad alimentare per secoli numerose fonti pubbliche, comprese quelle situate al piano superiore del Palazzo dei Consoli, del quale proprio in quegli anni si deliberava la realizzazione. Le sorgenti da cui l’acquedotto trae alimentazione, sono poste nei pressi dell’invaso artificiale del Bottaccione, ad una quota di 600 m s.l.m.; nel primo tratto l’opera corre sul coronamento dell’antica diga in pietra cui si deve la presenza dell’invaso, per poi spostarsi sul lato sinistro della gola tramite un ponte originariamente in pietra. La lunghezza totale della struttura è di circa 1770 metri fino alle cisterne poste, a quota 575 m s.l.m., immediatamente a monte del Palazzo Ducale.

Il “Condotto”, ha una pendenza media di circa l’1,4%, è costruito interamente in pietra calcarea locale, seguendo la tecnica costruttiva degli acquedotti romani, con acqua che scorreva a pelo libero in una canaletta in pietra posta all’interno del corpo della struttura, quest’ultimo abbastanza ampio da essere accessibile e completamente ispezionabile, aerato ed illuminato da una fila di apposite aperture e coperto superiormente da lastre in pietra. Il “Condotto” è abbarbicato su un versante in roccia di pendenza variabile ma sempre notevole, presentando un dislivello con il fondovalle che va da pochi metri, fino a circa 80 metri nel punto più alto. Percorrendo la struttura, sono ancora visibili molte delle buche pontaie di forma quadrata, scavate nella viva roccia, che servirono a posizionare le impalcature di travi lignee usate per la sua costruzione.

GOLA DEL BOTTACCIONE

L’iridio è un metallo molto raro nella crosta terrestre. Nella Gola del Bottaccione la sua concentrazione è al contrario molto abbondante in un particolare strato roccioso facilmente visibile nella gola (la Gola è anche chiamata “valle dell’iridio”). Nel 1980 un gruppo di ricercatori guidati da Walter Alvarez propose l’ipotesi secondo cui il metallo avrebbe una provenienza extra-terrestre e sarebbe la testimonianza dell’impatto di un asteroide che cadde sulla Terra, provocando enormi mutamenti climatici che portarono all’estinzione dei dinosauri.

 

 

Redazione Vivo Umbria: