Venticinque anni fa usciva il libro di Leonardo Malà “Preferisco I viveri”. Dentro molte delle cose, meglio delle risate, delle battute, degli argomenti che avevano accompagnato la nostra adolescenza, praticamente vissuta nella stessa via dell’Elce, quartiere di Perugia.
Giornalista, all’epoca il più giovane nella storia dell’Ordine a livello nazionale, quel libro segnava un suo ulteriore passaggio, una nuova esperienza, una ulteriore crescita. Quel personaggio, Epaminonda, così suona tutto attaccato ma staccato diventa Epa mi inonda, appariva “coraggiosamente” in copertina. Era lui, capace come pochi, anche dopo essersi tolto i pantaloncini corti, di sana ironia. La narrazione delle misere ma straordinarie vicende di un obeso alle prese con la dieta perenne e con se stesso, mi affascinò non poco. Ovviamente non fui il solo.
Ho sempre sperato in un seguito, in un Epaminonda 2, o qualcosa di simile, ma niente. Così ho chiesto a Malà di farmi un regalo per Natale, visto che ci apprestiamo a pranzi e cene all’insegna dello sgarro, da condividere con i lettori di Vivoumbria.it: far rivivere Epaminonda dopo 25 anni dal suo primo vagito. Eccolo qua. Grazie Leo.
A voi, buona lettura e Buon Natale.
Amici, volete un consiglio per Natale? Non svegliate mai un personaggio che riposa da trent’anni in biblioteca, l’artrosi narrativa è più dolorosa della vostra. Se poi l’incombenza è supportare Babbo Natale nella consegna dei doni, l’effetto è disastroso.
Mi ripresento: sono Epam’inonda e quell’apostrofo in mezzo al nome è come una daga conficcata nel corpo, una spada che trafigge tutte le carni, una dopo l’altra.
Sì, è vero, c’è chi lo chiama spiedino, ma è gente senza poesia. Ci eravamo lasciati mangiando cracker sotto una luna insulsa, una luna da cocker mannaro.
Ecco, la luna. L’unica cosa rimasta uguale al mio risveglio. Stoica, partigiana del niente, nulla ciao ciao ciao, perché sono cambiati gli occhi di chi la osserva, da leopardi a sciacalli, mai vista un’involuzione della specie così rapida.
Mi hanno mollato un sacco pieno di regali e quando ho indossato le brache del tradizionale costume rosso – “il più grande mai confezionato” ripeteva la sarta – si è capito subito che un Babbo Natale in perizoma avrebbe snaturato la santa festa. “Non vi preoccupate – li ho rassicurati – l’imbarazzo di noi mastodonti è della stessa tinta”.
Quindi ho ricevuto un aggeggio per farmi un selfie. C’è voluto tempo per capire cosa fosse l’aggeggio, il selfie e più ancora il profilo facebook. Ho allungato il braccio più lontano possibile ma già sapevo che il risultato sarebbe stato insoddisfacente. E’ venuta fuori una parte del mento. “Bastardo, tu menti!”, ha commentato il primo follower, e giù insulti. Strano questo facebook: pieno di pollici puntati verso l’alto quando tutti stanno con l’indice puntato verso l’altro. Un fraintendimento digitale, direi.
Vi risparmio i dettagli del viaggio al Polo, obbligatorio per motivi pubblicitari. Impossibile sollevarmi in aereo (ha desistito anche l’Ernia Airlines), si è optato per il viaggio via mare, dapprima con un’orca ammaestrata, talmente domestica da esprimersi con fonemi quasi umani. Al suo nitido e inequivocabile “Orca Madosca” si è passati al piano B, trasportato da due portaerei che procedevano appaiate, con me disteso supino e le reni sopra l’intercapedine dei natanti, esposte agli schizzi del mare artico ma soprattutto artritico.
Giunti nella distesa polare, nuova delusione: niente silenzi assoluti, niente pianure bianche e sterminate. La slitta era fatta da otto catamarani saldati l’uno con l’altro e fin lì poco male. Il frastuono veniva da qualche centinaio di renne (di sicuro non erano bastate perché ho visto svariate alci sotto mentite spoglie). La mandria aveva contaminato la candida distesa, emanando un miasma che neanche l’enologo più smaliziato saprebbe descrivere, forse “circo andato a male”. Quando ho dato il colpo di frusta, zigzagando nella melma da provetto Babbo Letame, la corsa è durata meno di un chilometro. Il fiatone delle povere bestie aveva disciolto i ghiacci come se l’ozono non avesse più buchi e girasse a torso nudo.
Ho provato a spiegarlo a Greta, a professare la mia sincera fede ambientalista, ma noi mastodonti siamo esclusi dai diritti civili. Mi è successo di recente anche con la politica, all’ultimo ritrovo con le sardine. Contento di essere stato accolto nella loro bacheca virtuale, mi sono presentato puntuale all’appuntamento nella piazza cittadina, anzi, per l’agitazione sono arrivato in anticipo, per primo.
Risultato, flop della manifestazione. “Al megaraduno ce n’era uno solo!”, titolavano i giornali della destra, con i dimostranti che m’insultavano perché una volta sistemato io non c’era più un posto libero in piazza. “Eravamo tutti nelle strade intorno, l’hai fatto apposta a tenerci fuori!”, reclamavano nei post, “dovevi farci vedere chi eri”. Ho provato a replicare: “Andate a guardare, mi sono fatto un selfie…”. “Tu menti!”, è stato il coro.
Ve la faccio breve: ora sono qua, abbandonato tra i ghiacci malfermi di un polo nord che va sempre più a fondo, sempre più polo sub. E tutto sommato non mi dispiace. Questa terra mi crea disagio, soprattutto me ne create voi, mostronauti che la popolate: vi basta incontrare un conoscente per esclamare “quanto è piccolo il mondo” ma non sapete di cosa state parlando, si capisce che non avete il senso della misura.
A me basta che mi dimentichi anche l’ultimo lettore e finalmente tornerò nel tepore della mia biblioteca. Non immaginate quanto si può stare larghi e comodi tra le pagine strette di un libro.
Leonardo Malà