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Arte in Valnerina, Tobiolo e l’Arcangelo

Arte in Valnerina, Tobiolo e l'Arcangelo

CASCIA – Cascia, crocevia di maestranze locali ed artisti itineranti sbocciato nel cuore più selvaggio d’Italia, laddove l’Umbria si coniuga con il Lazio, le Marche e l’Abruzzo, un luogo “periferico” per chi disconosce ed ignora la vitalità artistica della Valnerina, terra in cui al talento dei mastri italiani di mescolano esperienze artistiche tutt’altro che provinciali. Una premessa necessaria per chi, apprestandosi a varcare la soglia del Museo Civico di Palazzo Santi, intendo cogliere il sentiero che, nel labirinto del tempo, conduce alla genesi dell’opera, declinazione più nobile della sapienza italica. Pluralità di esperienze artistiche che nascondono pluralità di esperienze umane, volumi tardogotici che nascono dalla plasticità scultorea rinascimentale, gabbie prospettiche erette nella tridimensionalità di Palazzo Santi capaci di incarcerare tempo e spazio, linee e parabole che annullano il serrato dialogo fra corpo e spirito. Ed è proprio nella contaminazione formale tra opere autoctone e di importazione, che contraddistingue il Museo Civico, che va rintracciata l’unicità di una collezione che privilegia l’intaglio ligneo e la carica espressiva ed iconografica che solamente lo scalpello sa conferire all’opera, una connotazione straordinariamente identitaria che rende Palazzo Santi un unicum nel catalogo dei Musei Umbri.
Palazzo Santi è immerso nel cuore della Città di Cascia, a pochi metri dalla monumentale Basilica di Santa Rita.
E’ dallo scalpello del maestro Domenico Indivini che l’arte dell’intaglio raggiunge la sublimazione espressiva, un incedere armonico che consacra l’eccezionalità di Palazzo Santi alle venature del legno di pioppo dal quale prende forma la monumentale rappresentazione dell’Arcangelo Gabriele e del fanciullo Tobiolo. Ad ispirare la mano dello scultore marchigiano un viaggio biblico narrato dall’Antico Testamento: il giovane Tobiolo, partito per riscuotere i denari del padre alla volta dell’antica Mesopotamia, nel corso della traversata, su indicazione dell’Arcangelo, pescò nelle acque del fiume Tigri un pesce, poi traslato in suo attributo iconografico: le viscere dell’animale, custodite nell’ampolla dorata che l’Angelo reca in mano, sarebbero servite come rimedio per guarire la cecità del padre. Il culto per l’Arcangelo Gabriele, la cui iconografia trovò nel clima umanistico della Firenze Rinascimentale un sodalizio straordinariamente fertile, va ricondotta alla preghiera di protezione che le famiglie dei mercanti rivolgevano all’Arcangelo affinché vegliasse sul cammino dei figli, le cui orme percorrevano le latitudini   di ogni dove. A sottolineare la fortuna di cui la rappresentazione godette nel ‘400 la realizzazione, da parte di Leonardo da Vinci, di un’opera affine a quella custodita a Palazzo Santi, oggi esposta alla National Gallery di Londra. Nel gruppo scultoreo eseguito da Domenico Indivini, Tobiolo, in contrapposizione a quanto narrato dalle Sacre Scritture – che delineavano il figlio di Tobia come un giovane uomo – è ritratto come un bambino intimorito che, rivolgendo lo sguardo al monumentale Arcangelo, ne tiene la mano.
 
Tobiolo e l’Arcangelo Gabriele.
 
Complessa la disputa in merito all’attribuzione a Domenico Indivini del  gruppo scultoreo di Palazzo Santi, opera senza tempo capace di riscuotere, in occasione della mostra “Rinascimento Scolpito”,  il plauso della critica internazionale. La messa in opera dei legni utilizzati per la realizzazione dell’Arcangelo Raffaele con Tobiolo, l’applicazione della sensibile policromia che umanizza i volti del gruppo scultoreo le tarsie finemente realizzate – non va infatti dimenticato che l’intarsiatore marchigiano contribuì alla realizzazione del coro ligneo di San Francesco – consentono di attribuire la paternità dell’opera allo scalpello dell’Indivini. A rafforzare l’attribuzione dell’opera allo scultore la continuità espressiva che pone in parallelo la posa dell’angelo rappresentato nel gruppo scultoreo di Cascia ed il San Sebastiano di San Severino, la cui paternità è ampiamente ricollegabile all’Indivini. Il confronto fra le due opere rivela, infatti, fisionomie analoghe, linee sinuose che evidenziano la dolcezza armonica del viso.
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