LA MOSTRA
Sulla mostra abbiamo l’opportunità di offrire ai nostri lettori anche le riflessioni di Marco Trinei esperto e studioso di fotografia e autore, tra l’altro, del volume “Fotografie e fotografi di Perugia. 1850-1915”. (Edizioni Futura).
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Il filo della memoria
di Marco Trinei
Nel corso della seconda guerra mondiale l’esercito tedesco, a differenza di altre forze armate, non impedì ai propri soldati di scattare fotografie durante il servizio militare. Al contrario, questa attività fotografica venne quasi istituzionalizzata e incoraggiata. I soldati di alcuni reparti ricevettero addirittura l’incarico di realizzare dei veri e propri reportages delle campagne militari, che poi venivano distribuiti o venduti tra i soldati. Furono anche messi in commercio album ricordo per la raccolta di fotografie espressamente dedicati al servizio militare, con copertine che ne evocavano simboli e insegne (elmetti, mezzi militari, aquile reali, svastiche.). Spesso questi album recavano la scritta ‘AusMeinDienstzeit’ (Dal mio servizio militare) o ‘Kriegserinnerungen’ (Memorie di guerra). Alcuni album erano dedicati a specifiche unità, di cui venivano delineate, in una sorta di sezione introduttiva, la storia e la composizione.
Questa libertà di documentazione fotografica, unita alla grande diffusione che la fotografia ebbe in Germania sin dagli anni venti, produsse una enorme quantità di scatti di tematica militare. Prima dello scoppio della guerra, le riprese documentavano il servizio di leva raccontando, con notevole dettaglio, le fasi dell’addestramento, la vita nei reparti, i commilitoni. A partire dell’invasione della Polonia, nel 1939, i soldati tedeschi iniziarono a inserire negli album, con altrettanta sistematicità, foto che narravano i fatti della guerra.
Queste raccolte di fotografie sono molto varabili nella consistenza, nella qualità e nei contenuti. Alcune si limitano a fotografare l’autore ed i propri commilitoni nei momenti di pausa dai combattimenti. Altre, più interessanti, cercano di documentare i luoghi e gli avvenimenti della compagna militare riproducendo, con uno sguardo quasi ‘turistico’, ciò che suscitava l’interesse dell’autore. Una importante caratteristica di questi scatti è la libertà nella scelta dei soggetti consentita dalla quasi assenza di censura. A differenza dei reportages prodotti dai fotografi di guerra, ordinati dagli alti comandi militari del III Reich come forma di propaganda e prova della realizzabilità dei progetti di nazificazione (?) dell’Europa, queste immagini non devono necessariamente dare rappresentazione positiva e ‘vincente’ della guerra, ma spesso si soffermano sugli aspetti più negativi, brutali e ‘impresentabili’ del conflitto.
Abbiamo così scatti che mostrano i morti, le distruzioni, le sofferenze della popolazione civile, fino a documentare senza remore i crimini che il nazismo ha perpetrato contro ebrei e profughi, prigionieri e prigioniere di guerra, partigiani e popolazioni Rom. In particolare verso gli ebrei si nota una speciale attenzione tesa a sottolineare le condizioni di vita miserabili, le umiliazioni che dovettero subire, i tratti somatici che richiamano quelli dalla peggiore propaganda. È impossibile non riconoscere in questi scatti lo spirito di rivalsa di chi ci mostra con soddisfazione la sconfitta di un ‘altro’ che incarna profondamente il proprio nemico storico. Uno sguardo spogliato di qualsiasi empatia che ci testimonia quanto intimamente e diffusamente il nazismo abbia fatto breccia nell’animo del popolo tedesco.
Il materiale fotografico così prodotto costituisce una straordinaria fonte di documentazione storica e socio-antropologica in grado di evocare, con la vivida oggettività che solo la fotografia può produrre, gli avvenimenti di uno dei periodi più bui della storia europea. Le immagini qui riunite, tratte da una vasta collezione di album di soldati tedeschi e totalmente inedite, sono dedicate alle vittime, dirette o indirette, del nazismo. Come conseguenza delle politiche criminali di sterminio volute da Hitler, e fatte proprie dai suoi volenterosi carnefici, più della metà dei prigionieri russi che affollano molte foto morirà di stenti prima dell’anno successivo. Gli ebrei che vediamo nei villaggi o nei ghetti della Polonia e dell’Ucraina, saranno ben presto deportati in massa nei campi di concentramento e qui sterminati.
Il corpus di immagini selezionate può essere sintetizzato da un’efficace e famosa formula, cosa accade quando il sonno della ragione genera mostri.
Sebbene l’approccio degli album sia di tipo documentaristico da ‘viaggiatore’, quello sguardo svela l’epopea di un’ideologia aberrante nel perseguire l’obiettivo della soluzione finale. Un folle progetto che, decimando milioni di vittime, ha rappresentato un unicum nella storia dell’umanità.
Il titolo della mostra e del catalogo ci ricordano che quel male, storicamente collocato, va riconosciuto e fermamente attribuito agli uomini e alle società che accettarono le logiche aberranti del ‘nemico’ e che in nome di un’ideologia de-umanizzante hanno compiuto atrocità inimmaginabili: quelle che i soldati delle armate sovietiche, quel 27 gennaio 1945, fecero conoscere al mondo intero entrando ad Auschwitz.
Quei ‘ricordi’ presenti negli album fotografici sono raccolti e collocati assieme ad altri che il senso comune è naturalmente portato ad associare a dimensioni delicate dell’esistenza, la famiglia, le amicizie, i ricordi di eventi gioiosi e di svaghi. Questo ci conferma di quanto il male sia, per utilizzare l’efficace definizione di Hanna Arendt, terribilmente banale. Ma di contro a questa tragica e per certi versi inaccettabile verità, è commovente pensare che queste fotografie rappresentano in moltissimi casi l’unica immagine, l’unico ricordo del passaggio sulla terra di queste creature vittime del male . E’ tutto ciò che resta di loro.
E ci conforta il pensiero di come, paradossalmente, gli autori di questi scatti, che molto probabilmente con i loro scatti privati volevano consapevolmente documentare la loro superiorità e potenza militare, ci consentono oggi di ricordare e onorare le vittime della loro tracotanza. Un vero contrappasso della memoria storica.