Alessandro Deledda: film polizieschi anni ’70 e un disco di forti tensioni

Alessandro Deledda, pianista di origini sarde trapiantato a Perugia, ha portato sul palco della Casa del Jazz di Roma “Club Notturno”.

 

Un disco ispirato ai b-movie anni ’70 e in particolar modo ai film poliziotteschi. Nove composizioni originali scritte e arrangiate con Francesco Bearzatti al sax e clarinetto, Danilo Gallo al basso elettrico, e due giovani talenti, Riccardo Catria (finalista Premio Massimo Urbani 2021) tromba e flicorno e l’eclettico Marco D’Orlando alla batteria.

– Cominciamo dall’inizio: who is, chi è Alessandro Deledda?
Un compositore, un produttore amante del jazz. Non mi considero un jazzista puro, mi considero un contaminatore, uno di quelli che ama esplorare vari linguaggi musicali. Mi occupo di elettronica, elettronica contaminata al mondo acustico e tante varie cose anche di didattica come ormai a Perugia mi conoscono.
– Ecco, ribadiamo il concetto: sei anche direttore della scuola di musica Piano Solo a Perugia.
Sì, che è stata fondata da me nel 2009. Anche perché il musicista oggi deve essere aperto non solo ad uno stile, ad un linguaggio, ad un settore, ma io credo che debba avere una prospettiva verso i mondi musicali vari sino alla didattica. Poi dal punto di vista della produzione di propri progetti, allora ovviamente persegue quello che è il proprio linguaggio, ma, come ben sai, io vengo anche dalla popular music, vengo dalla classica, ho fatto jazz, molti lavori di musica elettronica, molti lavori per la televisione. Per cui questo è un lavoro a 360 gradi per me.

– Nel corso degli anni hai inciso, hai prodotto, hai dato vita a qualche album. Comincia ad essere un buon numero di album, se non sbaglio quattro?
Beh sì, perché nasce tutto nel 2011 con un album che è ancora richiesto perché è stato edito da Warner, il mio album di esordio che è un incontro tra l’elettronica e il pianoforte che si chiama “Conception and Contamination”. Con Club Notturno sono in tutto quattro uscite discografiche. Perché dopo il primo c’è stato Morbid Dialogues del 2016, poi i Nove pezzi notturni per pianoforte solo, pubblicati solo in digitale e oggi siamo arrivati ​​al Club Notturno che è questo disco dedicato al cinema degli anni ’70.
– Ecco, com’è nata questa idea? Come mai sei così legato a quell’epoca storica? Gli anni ’70 erano gli anni della fusion, del funk. Cosa ti lega in particolare a quel periodo?
Il fatto che arrivato a 50 anni, mi sono voluto regalare un qualcosa che rispecchiasse musicalmente lo stile musicale che ho apprezzato. Sai, quando vivi di ricordi, no? Io sono nato negli anni ’70, nel ’72, e cresciuto per esempio con i vinili, quindi con il cantautorato italiano, i miei primi vinili. Ricordo ancora il prezzo del primo: 9.500 lire. Mi piaceva una sonorità più da band, con basso elettrico, con specifiche di suono attraverso gli strumenti, ma soprattutto ricordavo, rivedendo alcuni film degli anni ’70, in particolar modo il poliziottesco, di quell’Italia in cui si usciva da un boom economico e si entrava verso un periodo di speculazione edilizie, di banditismo, di fermento sociale che poi ben veniva rappresentato nell’Italia, nelle varie città italiane, quindi che so, Roma, Napoli, Genova, Torino. E quindi quando vedevo i film italiani che avevano pochi mezzi, e li rivedo ancora molto volentieri, mi è venuto in mente di fare un parametro tra il cinema italiano di quegli anni e il cinema americano. Il cinema americano con tanti soldi e tanti mezzi, non arrivava alla verità e alla virtù del cinema italiano.

– Le due scuole messe a confronto, da una parte Hollywood con i suoi sfarzi di mezzi potentissimi e, dall’altro, la lezione del neorealismo italiano che ebbe un’influenza diretta anche su tutto il resto.
Certo, ma perché i produttori e i registi si basavano sulla cinematografia delle città e degli abitanti di quelle città, delle macchine, della vita metropolitana di quelle città. Il poliziottesco è il modo italiano di fare cinema, come per il Western, lo Spaghetti Western. Quentin Tarantino, per esempio, grande amante dei nostri film degli anni ’70, ha amato questo modo di fare cinema ma semplicemente perché registi come Lizzani, come Lenzi ti dicevano: “Buttati in mezzo al mercato e fai un inseguimento, senza tanti fronzoli”. E questa era la verità. Per cui questo ancora oggi mi ha dato fascino nel guardare questi film. Ovviamente, da musicista, non potevo non innamorarmi delle colonne sonore di quell’epoca, dei Micalizzi, dei Cipriani, ma anche di Morricone, insomma di tanti compositori che andavano in studio e suonavano funk, chill out, elettronica, venature di jazz, tutto un misto con dei temi molto semplici, ma molto accattivanti.
– Naturalmente con un riferimento semantico musicale che ricreava momenti di alta tensione, quindi di suspense.
Esattamente, quindi dall’inseguimento alla vita soprattutto nei locali notturni, il club notturno che era il tribunale tra il bandito della città e il poliziotto risoluto in difesa del cittadino.
– In fondo rimane l’arte antica del narrare, nell’eterna antitesi tra eroe e antieroe.
Esatto, per cui mi affascinava questa cosa e mi affascinava questo gruppo, questa band all’interno del locale che suonava e che vedeva osservava tutte le dinamiche che avvenivano all’interno di questi locali. Quindi il club notturno in realtà è un giro per l’Italia dedicato ai musicisti, dedicato a quell’epoca, dedicato a quegli ambienti. Tanto che in Club Notturno, i titoli parlano dell’Italia. Esempio, Hotel Milano è la prima traccia. Ho pensato che ogni città, anche non Milano necessariamente, avesse un Hotel Milano. Cioè se tu vai a Roma trovi un Hotel Milano, se tu vai a Parma trovi una pensione Anna, cose di questo tipo. Da lì lo sviluppo delle altre tracce dell’album.
– Musicalmente come si sviluppano questi ricordi?
“Club Notturno” è un disco mediterraneo, perché viene da me, un compositore italiano, il sangue è quello, la melodia, ma all’interno della melodia ci sono degli spazi, degli ambienti per ogni strumento presente nel club notturno, delle improvvisazioni, c’è il piano elettrico, ci sono i sintetizzatori, insomma c’è un mondo sonoro che io in questi anni ho avuto la fortuna di esplorare.
– Una sintesi rispetto ai tuoi ricordi, non solo degli occhi e del cinema ma anche musicali, giusto?
Esatto, quindi la scelta del basso elettrico piuttosto che il contrabbasso, la scelta di due fiati per narrare i temi, perché fanno un corpo sonoro molto interessante, molto americano, come quello che i compositori italiani proponevano nei poliziotteschi, ma c’è anche la manipolazione di qualche suono a livello distorsivo. C’è tutto questo mondo che riassume quello che io a 50 anni mi sono voluto regalare.

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.