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Alberto Burri e le sue tempere inedite:

CITTA’ DI CASTELLO – Ci saranno opere inedite di Burri, nei suoi Essiccatoi, in occasione del 109esimo anno dalla sua nascita.
Si tratta di tempere che vanno dal 1947 al 1990, infatti il titolo è proprio questo: “Burri: Tempere 1947 -1990”.
L’allestimento non poteva che essere realizzato negli amati Essiccatoi di tabacco, del maestro, uno dei luoghi più significativi dell’arte contemporanea italiana.
Oltre 100 opere prevalentemente mai note, questa volta però di piccolo e medio formato.
Da sottolineare, soprattutto per gli appassionati dei suoi lavori: Alberto Burri si caratterizza anche per le grandi dimensioni delle sue realizzazioni. Apparsa come una necessità della sua azione artistica.
E’ noto come il maestro Alberto Burri sia riconosciuto oltre che per un innovativo linguaggio e concetto sull’arte, per la straordinaria manipolazione della materia: sventrata dal maestro, anche bruciata, oltre che colorata e abitata persino come luogo, come accaduto nell’opera del famosissimo Cretto bianco di Gibellina in Sicilia.
Il presidente della fondazione e noto critico d’arte Bruno Corà ha parlato di “occasione per conoscere l’assiduità di Burri nell’esercizio del colore e nel magistero delle consonanze cromatiche, ritenuti non conformi ai principi di armonia canonica”.
Appuntamento martedì 12 marzo alle 18.
I prodromi della stretta relazione tra Alberto Burri e il colore sono tutti annessi in questa mostra agli Essiccatoi che preludono a quell’arte estesa che nell’ultima fase della sua vita si manifesterà nella Sala E degli Essiccatoi dal titolo Sestante, allusioni di quelle riflessioni che lo condurranno alle numerose declinazioni materiche.
Un uomo che scopre gli archetipi dello spettro visivo e le sue forti espressioni in colori vividi, decisi, senza alcuna indecisione.
Queste forme che a volte rimandano a riferimenti antropomorfi contenuti in un limitato campo grafico poco distante dal formato quadrato, innescano quel processo di trasformazione che conduce il corpo nella sua forma chiara e riconoscibile a tornare elemento primitivo, humus indefinito ma non generico, e che sarà alla base di quel procedimento di scarnificazione della materia, a volte una vera e propria aggressione, che avrà sempre un ruolo centrale nell’opera di Burri. Prodromi che però assumono la valenza di prototipi su carta o cartoncino come anticipatori del nuovo indirizzo di ricerca legato ormai a un tipo specifico di lavoro anziché modello di riferimento, che pareva evidenziare dal successivo e complementare ciclo di opere più unitario e nell’impostazione tematica e nella scelta dei materiali, quella serie di lavori aveva come punto di riferimento l’uniformità che le dimensioni stesse delle opere, mantenute tra loro costanti, soprattutto all’uso del cellotex come puro supporto e degli acrilici con una loro figurazione nuova ed insolita, tendevano ad accentuare.
Scrive il critico d’arte Francesco Moschini: “Se il grande acrilico colorato del ciclo precedente doveva leggersi come trasposizione in grande di quelle piccole tempere cui più volte Burri aveva affidato il senso di un progetto complessivo, in serie molto compatto, circoscritto cronologicamente oltre che dal punto di vista iconografico, quegli acrilici più recenti, pur essendo sottesi sicuramente d’una precedente modalità iniziale, non potevano che essere stati concepiti per quelle dimensioni reali. E più che di dimensioni, si dovrebbe parlare di estensioni, per il loro dispiegarsi en plein air con una intrinseca vocazione alla massima espansione possibile. Senza rischi quindi della benché minima parvenza di gigantismo, la malizia di quelle opere stava proprio nella “estrema finzione” cui sembravano presentarsi in quel loro esibirsi, declinarsi nelle più diverse versioni, trattate con materiali diversi inseriti nell’opera”.
E’ quindi nella dicotomia tra colore e materia che si crea la tensione estetica, come se la materia fosse inghiottita in un astrale buco nero e conservasse in sé un’essenza primordiale dalla quale non può prescindere.
L’estensione in questo caso diventa teatro/messa in scena di un concept che si esprime nelle sue allusioni cromatiche nelle opere più piccole, in queste tempere che alludono appunto e preludono ad una progettualità più ampia.
Per questo è importante, per conoscere più a fondo il progetto burriano, fruire di queste cento opere tra cui alcune inedite nel percorso che il grande Maestro dell’Informale seguì sin dagli esordi e che proseguì sino agli ultimi anni della sua attività. Per capire da dove Burri è partito e comprendere sin dove è arrivato passando dalle sue visioni cromatiche e dalle sue lacerazioni materiche.

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